I miei giorni più belli: la recensione del film di Arnaud Desplechin con Mathieu Amalric

22 giugno 2016
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I ricordi di un uomo che guarda alla sua vita.

I miei giorni più belli: la recensione del film di Arnaud Desplechin con Mathieu Amalric

Paul Dedalus è un personaggio già transitato nel cinema di Arnaud Desplechin. Con quel nome che suona bene in qualsiasi lingua, così come nelle pagine di James Joyce, è un Ulisse che ha sempre saputo che sarebbe tornato un giorno dai suoi viaggi, alter ego del regista francese che ne I miei giorni più belli è un Antoine Doinel che ripercorre tre tappe decisive della sua formazione, della sua giovinezza.

Nella precedente apparizione, in Comment je me suis disputé... (ma vie sexuelle), nel 1996, Dedalus era un trentenne assistente universitario a Parigi, incapace di portare a termine la sua tesi e la relazione con la fidanzata di dieci anni, Esther. Ne I miei giorni più belli li ritroviamo all’inizio del loro rapporto; non che a Desplechin interessi sviluppare un percorso coerente fra i due film. Non più nel presente, ma in un passato che non diventa mai nostalgico, in quanto ancora vivido e a tratti cocente come un continuo rimpianto, Paul rievoca tre momenti chiave: l’infanzia nella periferica Roubaix, il rapporto difficile con la madre depressa, il fratello e la sorella, oltre a un padre sempre in giro per lavoro per mantenere la famiglia; la Russia, primo viaggio del Dedalus Ulisse, prima avventura quasi da film di spionaggio, in piena guerra fredda, sdoppiandosi letteralmente, regalando la sua identità a un ulteriore alter ego; infine Esther, l’amore totale, la donna a cui tenere più della propria stessa vita, un sentimento tanto totalizzante da divenire utopico, in cui i due non riescono mai a “rimettersi veramente dal peso di stare insieme”.

Sono tre momenti dalla durata ben diversa, con l’amore per Esther che prende il sopravvento sul resto, quando Paul lascia Roubaix per studiare da un’antropologa adorata, arrangiandosi senza un soldo, dormendo sui divani dei suoi compagni di università, senza arrendersi di fronte alle difficoltà di un percorso di studi complesso. Le affronta con la stessa sfrontatezza con cui ha sedotto Esther, continuando a portare avanti il rapporto, pure nelle difficoltà della distanza. Un rapporto pieno di pathos e disperazione, leggero come un sorriso per le rispettive scappatelle sessuali e pesante come le lacrime al telefono o la pioggia di un inverno che sembra allontanarli definitivamente. A unirli la passione sfrontata che non fa mai un passo indietro per paura della reazione di chi c’è intorno, che si nutre delle scoperte fatte insieme, delle fragilità condivise, come la disperazione di un attacco di panico per la paura della morte.

Paul ha una sua forma di maturità precoce, che lo porta a ritenere una fine logica il fatto che la madre si sia suicidata quando lui aveva 11 anni, nascondendo una paura tremenda di aver ereditato la stessa disperazione, quella che lo porta a vivere con tristezza la caduta del muro di Berlino, perché la vede come la fine della sua infanzia. Nel raccontare il momento del passaggio all’età adulta Desplechin regala un magistrale film, doloroso e febbrile, sull’istinto a fuggire dall’impietosa unidirezionalità del tempo ancorandosi ai ricordi, declinati come impossibilità di dimenticare. Toccante e universale, racconta di famiglie che si scelgono, di amicizie insidiose come l’amore, di orfani in cerca delle parole giuste; perché è un film di parole, di libri letti, di alfabeti da scoprire.

I miei giorni più belli, a cui preferiamo il titolo originale che suona Tre ricordi della mia giovinezza, viene raccontato attraverso una cornice che ci propone il protagonista - ora interpretato da Mathieu Amalric - sul punto di lasciare dopo molti anni le repubbliche asiatiche ex sovietiche, per tornare a Parigi con un incarico al Ministero degli esteri. Se Amalric incarna con maestria il peso di un uomo gravato da un passato che non sparisce, sono i due ragazzi, Quentin Dolmaire e Lou Roy-Lecollinet, la meravigliosa scoperta del film.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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