I Mercenari 2 - la nostra recensione del film
Sylvester Stallone torna a condurre i suoi soldati di ventura in missioni ad alto tasso di adrenalina ed esplosioni.
Dopo una cocente umiliazione subita dal perfido Vilain, la banda di mercenari capitanata da Barney Ross medita vendetta. Con una squadra che adesso include la giovane asiatica Maggie, i nostri eroi manderanno all'aria il piano del cattivo, che medita di vendere al miglior offerente un gigantesco carico russo di plutonio risalente alla Guerra Fredda. Dato il buon successo riscosso dal primo I Mercenari del 2010 (80 milioni di costo per 274 d'incasso mondiale), la Millennium Films ha deciso di ripetere l'esperienza.
Sylvester Stallone, che del prototipo fu cosceneggiatore, interprete e regista, era reduce due anni fa dai suoi orgogliosi rilanci di Rocky e Rambo e, vi fosse o meno piaciuto I mercenari, aveva impresso al lungometraggio un suo tocco autoriale raro nel cinema attuale di questo tipo: Stallone ci crede.
D'accordo: parliamo di film di genere, possiamo definirli "b-movie", scherzare su una visione "retrò", ma Sly è rimasto sinceramente affezionato alla capacità di un personaggio sopra le righe e palestrato di essere ancora un vero eroe (o antieroe) per il pubblico.
La sua regia aveva la qualità di un tono grezzo e iperviolento che, pur giocando in promozione con le vecchie glorie dell'action coinvolte, manteneva l'autoironia senza esagerare con il metacinema, senza rompere la quarta parete e ammiccare troppo al pubblico. Tentazione alla quale invece I Mercenari 2 cede.
Avendo rischiato infatti, nella lavorazione del primo, di rimanere paralizzato per una grave lesione durante un'acrobazia, Sly per concentrarsi meglio ha mantenuto il ruolo di cosceneggiatore e interprete, ma ha lasciato la sedia del regista a Simon West. Parliamo dell'autore del cult Con Air e del primo Tomb Raider, quindi non ne vogliamo di certo contestare la capacità di allestire l'azione: grazie anche forse a un budget che appare rinforzato, le sequenze di guerriglia sono altamente spettacolari e chiassose come ci si aspetta, e di certo valgono il prezzo del biglietto per gli appassionati.
Con Stallone lontano dal timone però le granate, le mitragliatrici, i coltelli e i calci volanti dell'indomito cast abbattono anche la suddetta quarta parete, con esiti pericolosi: Chuck Norris compare e cita una delle famose battute su di lui, Arnold Schwarzenegger irrompe sulla scena gridando "Sono tornato!" (Terminator prometteva: "I'll be back!"), Bruce Willis comincia truce ma nella parte finale sembra più scherzare che recitare, Jason Statham travestito da prete celebra nozze tra il suo coltello e un bandito.
Dulcis in fundo, Jean-Claude Van Damme nei panni del cattivo Vilain ("villain", appunto!) impegna Stallone in uno scontro all'arma bianca il cui esito diventa del tutto secondario, perché l'evento in sè ha una forza iconica che distrae dalla possibile suspense.
Il rispetto reverenziale che West e la produzione hanno per i miti coinvolti è talmente alto che finiscono senza volerlo per prenderne le distanze. E con una squadra che ha accolto tra le sue fila una donna energica, simbolo del cinema d'azione contemporaneo, il crepuscolo della vecchia guardia sembra quanto più vicino tanto più questa viene idolatrata. Stallone, che al crepuscolo non ci ha mai creduto, guarda un aereo cadente e dice: "Dovrebbe stare in un museo!". Schwarzy gli risponde quasi ridendo: "E così noi." Sintomatico.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"