I limoni d'inverno: recensione del delicato film con Christian De Sica e Teresa Saponangelo
Per il suo secondo lungometraggio Caterina Carone sceglie di raccontare la storia di un incontro e di un comune sentire, collocandola in uno spazio fra la terra e il cielo e offrendo a Teresa Saponangelo e Christin De Sica dei personaggi bellissimi e struggenti. La recensione di Carola Proto.
Quando Caternia Carone ha immaginato Eleonora e Pietro e la loro storia "non d'amore ma di amore", ha deciso che a guidarla sarebbero stati il rigore, l'essenzialità e soprattutto uno sguardo affettuoso, in altre parole una tenerezza che non sempre troviamo tanto nella vita quanto al cinema ma che si rende necessaria quando si parla della fragilità di stare al mondo e di "un cuore in inverno" che poi è Pietro, un malinconico professore in pensione che vive di piccole e confortanti routine. L'inverno è anche nel titolo del film, Limoni d'inverno, e rappresenta il tempo dell'incertezza, dell'incapacità di amarsi e di perdonarsi, oltre che dei sentimenti che fanno fatica a sbocciare, e se abbiamo usato questo verbo è perché una buona parte del film si svolge su due terrazze di un quartiere romano, che potrebbe essere Testaccio o forse la Garbatella. Le terrazze si guardano e sono una specie di limbo fra la terra e il cielo, un rifugio dall'inquinamento acustico della città e ovviamente il luogo dove ci si prende cura di piccoli alberi e fiori.
Le terrazze di Eleonora e Pietro sono lontane dalle quelle sorrentiniane, dove si ritrovano gli intellettuali e il bel mondo. A ben guardare anche ne I limoni d’inverno un intellettuale c'è, ma non fa mai sfoggio della sua cultura. Parliamo di Pietro, naturalmente, che fa fatica a scrivere un libro sulle donne d’ingegno il cui valore non è stato riconosciuto in vita. Già questo dettaglio dà al personaggio uno status un uomo moderno e attento al femminile. Caterina Carone lo rende inoltre un gentleman d'altri tempi, amorevole con le piante e galante con le donne, e poi sensibile e in fondo timido, oltre che rassegnato a una solitudine che giorno dopo giorno si è cucito addosso.
Pietro sta perdendo velocemente la memoria, che per l'essere umano è uno dei beni più preziosi, ma ha ancora tanto da dare, ad esempio a un barista che vorrebbe prendere il diploma e a Eleonora, persa dietro a un marito egocentrico, nevrotico ed egoista che non può fermarsi mai, perché se si ferma, i demoni che tiene a bada lo aggrediscono. È nelle battute e nei monologhi di questo insopportabile artista che la regista mette quel pizzico di comicità che fa respirare il racconto, che come la vita è "una stratificazione continua di lacrime e sorrisi". Per rappresentare questa altalena emotiva Caterina Carone sceglie un cinema della delicatezza, scevro da ogni retorica e volontà di giudizio ma attento ai piccoli cambiamenti e visibilmente dalla parte delle anime belle, pure, che si lasciano sorprendere da gioie inattese e ritrovano l'empatia verso sé stesse. Eleonora e Pietro non sono però Robert Kincaid e Francesca Johnson de I ponti di Madison County, e non sappiamo né ci interessa scoprire se fra loro sia amore. È sufficiente sapere che hanno un comune sentire e che entrambi, incontrandosi, cominciano a credere nella possibilità di essere felici.
Parlando de I limoni d’inverno, la regista ha spiegato che le piacerebbe che Eleonora e Pietro continuassero a vivere nel cuore di chi ha visto il film. Se succederà, sarà grazie a Teresa Saponangelo, che il tempo con Pietro fa tornare ragazza, e Christian De Sica, mai così bravo perché alle prese con un personaggio molto complesso: solo ma gioviale, addolorato ma resiliente, e che non perde la dignità nemmeno quando le sue condizioni peggiorano. Carolina Carone ha fatto un ottimo lavoro con l'attore, e la ringraziamo di cuore di non aver insistito sul decorso di una malattia fin troppo presente nei film di questi ultimi anni.
Eppure non retrocede né si spaventa la Carone di fronte al destino di Pietro, che forse un giorno lascerà questo mondo in sordina, proprio come hanno fatto le donne di cui ha voluto offrire un ricordo alla posterità. La regista sa quanto possa essere importante fare un minuscolo pezzo di strada con qualcuno che inspiegabilmente ci dà forza, coraggio e fiducia, perché è vero che per accogliere l'altro dobbiamo essere in pace con noi stessi, ma sono gli incontri che ci fanno rinascere e trovare una nuova collocazione nel ciclo dell’esistenza.
E tuttavia, alla fine del film, la morale non è "non è mai troppo tardi per innamorarsi" ma "non è mai troppo tardi per ascoltarci e occuparci dei nostri bisogni più profondi, con la stessa cura che dedichiamo a una pianta o a un animale e magari con un piccolo aiuto esterno: perché è solo quando saremo completamente fedeli a noi stessi che arriveranno i limoni, simbolo, qui, della vita che continua e del ricordo di ciò che abbiamo fatto e di quanto abbiamo amato.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali