I figli degli altri: la recensione del film con Virginie Efira, presentato in concorso a Venezia 2022
Una donna e la bambina figlia del nuovo compagno, una storia semplice e toccante quella de I figli degli altri splendidamente interpretata da Virginie Efira, diretta da Rebecca Zlotowski, in concorso al Festival di Venezia 2022. La recensione di Mauro Donzelli.
Ogni storia parla di ricerca della felicità, visto che il cinema insegue la vita. Rachel è una quarantenne e non fa eccezione. Non ha bisogno di diventare madre per essere compiuta, ama la sua vita. Insegna lettere in una scuola superiore, ha i suoi amici, tra cui l’ex con cui è rimasto in ottimi rapporti, prende lezioni chitarra. Decide come ogni adulta quanto e quando aprire il suo cuore agli altri, dosando i rischi connaturati di rimanere delusa o ferita. Quando si innamora ricambiata di Ali, suo compagno di chitarra, nella vita di coppia si inserisce anche la figlia di lui, Leila, una dolce bambina di 4 anni.
Ogni amore inizia con un percorso di esplorazione degli spazi reciproci, e anche lei comincia a frequentare sempre di più casa di lui, fino a far parte sempre più integrante della sua intimità, affezionandosi alla piccola con un parallelo percorso di innamoramento e di apertura. Fino al punto di pensare che “ho una vita sola, e con voi due quello che succede a voi è un po’ come se succedesse anche a me”.
La felicità è fatta anche di bisogni e desideri sempre nuovi, che richiedono di essere appagati. Così Rachel rimane scombussolata e coinvolta da un bisogno inedito per lei: quello di una famiglia centrata sulla maternità. Come lei tante donne e uomini vivono relazioni con “I figli degli altri” e, come ha detto la regista, Rebecca Zlotowski, il cinema non le racconta mai. È un punto di vista inconsueto, ma non certo nella realtà, un processo in cui chi è sullo sfondo viene posto in primo piano. Sono tanti piccoli gesti quotidiani quelli attraverso i quali la donna si avvicina alla bambina, impara come una studentessa scrupolosa a inserirsi armonicamente nella sua vita: dal fatto di portare qualcosa da mangiare quando va a prendere la bambina agli allenamenti di judo, a come gestire i capricci e le necessità.
Una storia d’amore a tre, con la presenza nell’assenza della madre, sporadicamente incontrata, e nei confronti della quale non si instaura, per fortuna, una tensione o acredine, anzi. “Non dobbiamo scusarci al posto degli uomini”, dice a un certo momento una all’altra. I figli degli altri è una storia lineare nella sua semplicità, resa sfaccettata dalla sempre impeccabile Virginie Efira, splendida e fragile, capace di alternare registri senza mai perdere in umanità. La Zlotowski sfronda ogni orpello retorico, asciuga tempi e dialoghi, svicola il rischio algidità per comporre un ritratto toccante di una donna libera, piena di grazia. Senza miracoli, non protegge dalle delusioni, ma trasmette una dose di vitalità contagiosa.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito