House of Gucci: recensione del film con Lady Gaga, Adam Driver e Jared Leto
Con House of Gucci Ridley Scott racconta la tragica storia di una famiglia tutta italiana nel modo più americano possibile.
L'ultimo film diretto da Ridley Scott arriva per ricordarci qualcosa che dovremmo tenere a mente più spesso: un film doppiato in una lingua diversa da quella in cui è stato girato, è un altro film.
Chi guarda abitualmente film e serie in versione originale lo sa bene e questo è l'unico modo per apprezzare un'opera cinematografica o televisiva così come è stata concepita. Siamo comunque fortunati ad avere eccellenti doppiatori che ci aiutano a superare l'incomprensione di una lingua sconosciuta, peraltro con vere e proprie performance al microfono nel buio della sala di incisione, ma non si può avere una reale consapevolezza del talento di Al Pacino, per esempio, se lo si conosce soltanto con la voce di Giancarlo Giannini (o prima ancora con quella di Ferruccio Amendola).
House of Gucci arriva al cinema per chiedere, anzi, per implorare di essere visto in inglese al fine di godere appieno delle interpretazioni di un blasonato cast che recita con l'accento italiano. Ai sottotitoli ci si abitua senza drammi. È su questa versione che si basano le righe che seguono.
Mettiamo in chiaro subito che questo è un film girato in Italia da americani per un pubblico americano o comunque internazionale. La storia della famiglia Gucci, quando era a capo della casa di moda che ancora oggi porta quel nome, era troppo affascinante per non essere raccontata agli stranieri che non avevano idea di cosa ci fosse dietro a uno dei marchi di lusso più famosi al mondo.
Seguendo e adattando le pagine dell'omonimo libro di Sara Gay Forden pubblicato nel 2002, il film racconta cronologicamente l'incontro, l'amore e la vita matrimoniale tra Patrizia Reggiani e Maurizio Gucci, interpretati rispettivamente da Lady Gaga e Adam Driver, con il complicato inserimento della coppia nel già infelice quadro familiare. L'essenza britannica di Jeremy Irons ha condotto l'attore verso il ruolo dell'irreprensibile papà Rodolfo, l'italianità di Al Pacino è stata determinante per affidargli lo zio Aldo, il pesante make-up e la devozione di Jared Leto lo hanno trasformato nel personaggio del cugino Paolo. Tutti loro parlano in inglese con un più o meno marcato accento maccheronico, per come viene percepito al di fuori del nostro paese, e questo porta House of Gucci ad essere per noi italiani il film con l'inglese più facilmente comprensibile di qualunque altro titolo americano.
I reali fatti che hanno determinato la caduta della famiglia Gucci sono stati oggetto di vari programmi di inchiesta sui nostri canali televisivi e di documentari che hanno ricostruito la serie di eventi sfociati nel ben noto omicidio del 1995. Ridley Scott non cerca l'introspezione psicologica come hanno fatto gli approfondimenti televisivi, scegliendo invece di eccellere in superficialità per ben due ore e quaranta minuti. Il film è filtrato da una patina americana che avvolge ogni comparto artistico e che non cerca la realtà, ma un'interpretazione glamour della stessa. Ambienti esterni e interni, scenografie e costumi, inseguono il bello affiancandosi a una fotografia quasi onirica, perché House of Gucci scambia la guarnizione per la sostanza e si concentra sulle proprie star che inevitabilmente volano sopra le righe.
È un problema? Non necessariamente.
Il film offre una raffinata caricatura dell'intera vicenda in cui non c'è un giallo da risolvere, né caratteri da psicanalizzare, ma carismatici attori da ammirare nelle loro perfomance come se fossero in vetrina in una via dello shopping.
La fedeltà a persone e situazioni originali intorno ai Gucci può continuare ad essere la virtù dei documentari.
Il film si fa vanto di una Lady Gaga in gran forma e di un Jared Leto oltre il limite dello stereotipo italiano. Eppure vederli così vale il prezzo del biglietto.
- Giornalista cinematografico
- Copywriter e autore di format TV/Web