Hometown: Polanski e Horowitz, la recensione del documentario con due straordinari protagonisti

20 ottobre 2022
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Arriverà al cinema con il nuovo film di Roman Polanski il bel documentario Hometown: Polanski e Horowitz, dedicato a due straordinari amici d'infanzia e presentato alla Festa del cinema di Roma. La recensione di Daniela Catelli.

Hometown: Polanski e Horowitz, la recensione del documentario con due straordinari protagonisti

Due anziani amici d'infanzia, che non dimostrano assolutamente la loro età (89 anni uno, 83 l'altro) si incontrano in un aeroporto, si abbracciano affettuosamente e si dirigono in auto dopo circa sessant'anni dall'ultima visita, alla volta della loro città natale, Cracovia, in Polonia, dove hanno trascorso l'infanzia e parte della prima giovinezza tra drammatici avvenimenti storici: la seconda guerra mondiale, l'Olocausto, il regime comunista del dopoguerra. Ma questi due simpatici, arzilli signori che provengono rispettivamente da Parigi e New York, dove vivono da tempo, non sono due individui qualunque: uno è Roman Polanski, uno dei più grandi registi della storia del cinema e l'altro è Ryszard Horowitz, straordinario artista della fotografia di fama mondiale. A convincerli a fare questo sorprendente viaggio nella memoria – e siamo grati a loro, oltre che a Luca Barbareschi, uno dei produttori - sono stati due giovani filmmaker loro connazionali, Mateusz Kudla e Anna Kokoszka – Romer. Chi ha avuto la fortuna di sentir parlare dal vivo il regista, o ha letto la sua autobiografia o visto il film Roman Polański: A Film Memoir, del 2012, sa che narratore ipnotico sappia essere, ne conosce l'ironia, l'arguzia e a tratti la ferocia con cui fa certe osservazioni, la straordinaria memoria capace di ricostruire in ogni minimo dettaglio quanto avvenuto decenni prima.

Non conoscevamo invece Horowitz, che con lui ha condiviso lunghi e importanti tratti della sua vita, prima (e dopo) che i due amici sono stati drammaticamente divisi dalla persecuzione nazista degli ebrei: il giovane Polanski, messo in salvo dal padre dalla deportazione dal ghetto di Varsavia (di cui purtroppo è rimasta vittima la moglie, madre del regista), rimasto solo e poi ospitato da una generosa famiglia contadina nelle campagne polacche, e il picolo Horowitz, di famiglia borghese e viziato dai genitori, finito con loro ad Auschwitz, salvato dalla “lista” di Oskar Schindler con i suoi, che lo ritroveranno in un orfanotrofio dopo la guerra, grazie a un cinegiornale (lui è uno di coloro che rendono omaggio alla tomba del Giusto nel finale di Schindler's List). Hometown: Polanski e Horowitz è un film sul ricordo e sulla memoria, su come i luoghi e le circostanze cambino anche radicalmente ma lo sguardo di chi ci ha vissuto possa ricostruire luoghi e sensazioni come se fosse ieri.

Il viaggio dei due amici inizia dal cimitero dove sono sepolti i loro genitori e dove il regista, che confessa di non amare questi posti (così come, ateo dichiarato, afferma la sua avversione per chiese e sinagoghe) racconta un divertente aneddoto legato al funerale del padre, sopravvissuto a Mauthausen e scomparso nel 1983, cui era molto legato. I due amici ridono insieme, quando Polanski racconta i problemi coi becchini ubriachi, il ritardo nella sepoltura e la decisione di portare la bara assieme ai colleghi cineasti, con conseguenze "fisiche" prevedibili per uno come lui, piccolo di statura, che sceglie di stare davanti mentre dietro ci sono individui più alti. Non si tratta di mancanza di rispetto per la morte, ma di affetto per la memoria viva della persona, di cui si ricorda il gran senso dell'umorismo. Sicuro sui suoi passi come se se ne fosse andato l'altro ieri, Polanski è il Virgilio di questo viaggio, che Horowitz commenta a tratti off camera: ricostruisce i confini del ghetto, la porta d'ingresso, il filo spinato, i ricordi dell'affollamento crescente, le fughe per comprare i francobolli, lo spietato omicidio di un'anziana da parte di un soldato nazista a cui assiste terrorizzato.

Varsavia non è stata bombardata e le case sono ancora lì, quasi intatte, con i cortili, le scuole, il cinema (scomparso) dove si appassionava vedendo i film. A volte in disaccordo su una particolare memoria, ad Horowitz non resta che fare quasi da spalla a Polanski, abbozzando di fronte alla sicurezza dell'amico. Il loro è un rapporto di grande affetto e ammirazione reciproca e i registi riescono a mostrarlo lasciandoli liberi, stando sempre un passo indietro o avanti a loro, facendosi dimenticare (tranne quando Polanski, che non riesce mai a uscire dal ruolo, li rimprovera perché riprendono dall'angolatura sbagliata). Ci sono molti momenti commoventi nel film, dalla visita (evitata, unico momento in cui vediamo davvero in crisi Polanski) alla casa della nonna, a quella all'appartamento degli Horowitz, dove molto è cambiato, al ritrovamento del nipote di chi ha ospitato e nascosto il regista e il suo riconoscimento tra i Giusti d'Israele. E ci sono altrettante occasioni di sorridere e di ridere con questi due straordinari esseri umani con l'entusiasmo di due ragazzi mai invecchiati, che si mescolano alla gente in piazza per acquistare wurstel e birra (con l'ignaro venditore che dice a Polanski di metterlo in un film americano, involontaria ironia della sorte) o scherzano su come Cracovia oggi somigli a Disneyland. Anche se, come dicono, la storia periodicamente si ripete perché l'uomo non impara mai dal passato, la loro vita e la loro straordinaria vitalità sono la miglior risposta all'odio cieco di chi avrebbe voluto annientarli. Hometown: Polanski e Horowitz è un vero regalo per gli spettatori, che avranno la possibilità di vederlo al cinema, ad accompagnare l'uscita del nuovo film di Roman Polanski.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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