Heldin, la recensione: come un'episodio di E.R., come un thriller, come la realtà
Presentato al Festival di Berlino 2025 questo film diretto da Petra Volpe e interpretato da una bravissima Leonie Benesch. La recensione di Heldin di Federico Gironi.
Qualcuno potrà dire che Heldin (sul titolo poi ci torniamo) è po’ come una puntata più lunga di un episodio di una serie medical tipo E.R., e se qualcuno lo dicesse, avrebbe allo stesso tempo ragione e torto. Avrebbe ragione perché quello che questo film scritto e diretto da Petra Volpe racconta di un turno lavorativo serale (il titolo internazionale è infatti Late Shift) di un’infermiera che lavora nel reparto di chirurgia di un ospedale di Basilea. E quindi, il giro delle visite, il rapporto coi pazienti e coi colleghi, la somministrazione dei farmaci, e emergenze che vanno affrontate, perfino gli errori dovuti alla fatica e allo stress. Come appunto in una puntata di E.R. con protagonista la Hathaway. Nel senso di Carol, non di Anne.
Eppure, quella persona che dicesse “è come E.R.” avrebbe anche un po’ torto. Perché Heldin sarà anche un medical drama, sì, ma è anche e forse ancora di più un thriller, girato com’è con un ottimo equilibrio tra il naturalismo realista e la voglia di trasmettere un’ansia e una tensione che sanno farsi opprimenti; un thriller che racconta la fatica e la tensione e lo stress della protagonista Floria (la bravissima Leonie Benesch, una delle migliori attrici in circolazione), alle prese con troppe richieste e troppi pochi colleghi. E quella persona avrebbe anche un po’ torto perché, assai più di quanto non avvenga nei telefilm d’ambientazione medica, che pur con qualche apertura e concessione concentrano la loro attenzione sul versante dei medici e degli infermieri, Petra Volpe ha costruito un film dove il punto di vista e la condizione del paziente conta quanto quello di chi la cura: ed è nella collisione tra i limiti di una, per quando bravissima, encomiabile, volenterosa e instancabile, e le esigenze e gli stati d’animo e le paure dei tanti, che Heldin trova la sua vera potenza.
I pazienti raccontati dal film, poi, non sono quelli che ci aspettano di solito in tv. Niente affatto. Sono sofferenti, tristi, spogli, magari orgogliosi ma comunque spaventati. Perché Heldin non volta la testa di fronte al terrore della morte, all’orrore della malattia, allo squallore e all’imbarazzo di chi è costretto in un letto, con un camice, a farsi imboccare, oppure pulire, comunque accudire, magari confortare. E la cosa fa un certo effetto, in un mondo che quegli aspetti tende a rimuoverli, a nasconderli dietro una porta, una tenda, una parete.
Non c’è patetismo, da parte di Volpe, nel fare questo, come nel raccontare le mille difficoltà e i pesi, soprattutto psicologici, che Floria deve affrontare e sostenere. Perché - lo abbiamo detto - al naturalismo si associa anche la tensione, e perché la regista non indugia mai troppo lì dove non dovrebbe indugiare. Forse c’è, a tratti, specie nel finale, un pizzico di retorica. Quella retorica che si nasconde dietro al titolo - ecco, ci siamo tornati - che tradotto vuol dire “eroina”. Ma d’altronde, ce li ricordiamo, gli eroi dei lunghi mesi del Covid? Temo di no.
C’è un po’ di retorica nella carrellata dei volti finali, accompagnata dalla straziante “Hope There's Someone” di Antony and the Johnsons, una canzone che mi fa salire le lacrime agli occhi pure da sola. Ma d’altronde, non avevamo detto che chi sostenesse che Heldin è come una puntata di E.R. avrebbe ragione? E chiudere così, non è tipico di tante, troppe serie tv?
Tendo a pensare che assieme alla diffusissima retorica patetica e negativa, esista una retorica buona e giustifcata, e penso che questa sia quella che, pur limitatamente, appare in Heldin.
Dopo averci buttato di colpo dentro una corsia d’ospedale, mostrandoci subito e senza filtri cosa voglia dire fare quel certo mestiere, dopo averci tenuto col fiato sospeso, e fatto emozionare, e il tifo per la Floria di Leonie Benesch (che è bravissima l’ho già detto?), e fatto ricordare di un’ovvietà, ovvero che la nostra salute è un bene inestimabile, Heldin ci commuove. E allora? Fa bene. Come fa bene a ricordare, con le didascalie che lo chiudono, come l’assenza di personale infermieristico sia un’emergenza. In Svizzera come nel mondo. Figuriamoci in Italia, con la sanità allo sfacelo che abbiamo, e che poi di Floria ce n’ha e ne avrebbe, eccome.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival