Greyhound: recensione del film di guerra scritto e interpretato da Tom Hanks

10 luglio 2020
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L'ennesimo ritratto di una brava persona di fronte al suo senso del dovere in circostanze straordinari, Greyhound è un film di guerra che somiglia a Tom Hanks, a un altro ruolo memorabile del grande attore americano.

Greyhound: recensione del film di guerra scritto e interpretato da Tom Hanks

Una brava persona di fronte al suo senso del dovere, in circostanze straordinarie. Greyhound è un film di guerra che somiglia a Tom Hanks, qui sceneggiatore e protagonista, come carta carbone, che somiglia all’immagine sul grande schermo di questo americano medio, nel senso nobile del termine, impegnato con scrupolo nel suo lavoro di ogni giorno, rappresentante di un eroismo involontario. 

Un ennesimo capitolo del racconto delle varie fasi, anime, personaggi e fronti della Seconda guerra mondiale, un periodo che Hanks ha sempre amato e messo al centro di molti suoi lavori, probabilmente proprio perché ha rappresentato l’ultima guerra nobile, a suo modo disinteressata, combattuta dagli Stati Uniti. Una mano tesa agli ex coloni britannici e al continente europeo in nome dei valori di libertà della costituzione americana su cui i pionieri fondarono la nazione. Pensiamo alla collaborazione con un altro padre nobile del cinema americano sui valori e gli uomini valorosi come Steven Spielberg, a lavori come Salvate il soldato Ryan o alle splendide miniserie da loro pronte Band of Brothers e The Pacific.

Greyhound è un progetto voluto fortemente da Hanks, che ha adattato il libro di C.S. Forrester pubblicato nel 1955, in Italia in libreria per Newton Compton. Uno scrittore di romanzi d’avventura d’ambientazione militare molto popolare nei suoi anni, assai amato anche da Winston Churcill. Il protagonista del film è un comandante della marina americana Ernest Krause (ovviamente Hanks) al suo primo incarico di guerra. Greyhound è un film sul secondo conflitto mondiale ma anche, specie nella prima parte, un po’ difficoltosa, un film nautico, tutto chiuso nella angusta sala comando di una nave militare americana, il destroyer USS Keeling dal codice Greyhound, incaricata di guidare la scorta a un cospicuo convoglio di 37 navi da rifornimento partite dal continente americano alla volta della Gran Bretagna, per supportare i freschi alleati. Siamo nell'inizio del 1942, infatti, a poche settimane dall’entrata in guerra degli Stati Uniti dopo l’attacco di Pearl Harbor.

La storia ruota intorno ai due giorni abbondanti di navigazione in cui le navi non potevano contare sul supporto aereo, in quella zona remota dell’Atlantico nota per questo durante il conflitto come il Black Pit, il buco nero. Mappe nautiche sempre sott’occhio, la radio accesa e le comunicazioni continue con le altre navi scorta, il comandante lotta contro i suoi dubbi, le sue insicurezze, roso dai demoni interiori e dal dubbio sulle sue capacità di leadership, sempre senza darlo troppo a vedere al suo equipaggio. Sono le fasi più ripetitive e rigorose, precise come una matita e un goniometro su una carta nautica. Ore infinite in mezzo ai lupi, al wolfpack, nome di guerra dei sottomarini Uboot tedeschi, minacciosi nei mari del nord Atlantico, alle prese con una guerra psicologica, mandando messaggi inquietanti e minacciosi in direzione delle navi nemiche per fiaccarne il morale.

Un film d’azione, ma soprattutto di strategia nautica, senza scene madri e con una retorica non troppo esibita, Greyhound asciuga ogni rivolo narrativo che non sia quello del comandante con i suoi uomini che affronta il branco di lupi nemici. Tom Hanks nel film mostra una sincera e costante attenzione alla Bibbia, tanto da sembrare un credibile pastore di soldati, se non di anime. Non cambia quasi mai espressione, il comandante Krause, alle prese con una missione da portare avanti, e con il peso del dramma delle inevitabili perdite subite; basti pensare che nel corso della guerra in circostanze simili persero la vita 72 mila persone imbarcate nei convogli di riferimento nelle acque atlantiche. Questo rigore teso in qualche situazione può rallentare l’avvicinamento emotivo al film, ma nell’ultima mezz’ora anche la parte spettacolare assume un ruolo importante e concede una maggiore immersione anche per noi spettatori, in costante apnea per questa partita a scacchi appena sopra o appena sotto il filo delle acque oceaniche.

La cosa migliore del film rimane la performance davvero convincente e ostinata di Hanks, che si concede durante le 50 ore di battaglia solo un paio di pantofole per un po' di sollievo ai piedi, sanguinanti per le infinite ore senza sedersi né tantomento dormire, e alla fine un sonno ristoratore, dopo aver pregato, ed essersi concesso un appena accennato ammorbidimento della concentrazione sul volto, con un luccichio negli occhi, vedendo i suoi uomini festeggiare.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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