Greenland: la recensione
Un Gerard Butler straordinariamente somigliante a Francesco Totti è il protagonista di questo disaster movie che, più che sugli effetti speciali e la spettacolarizzazione della catastrofe, punta tutto sui sentimenti e sull'umanità. Un'uscita insolita per questo periodo, ma forse non troppo. La recensione di Greenland di Federico Gironi.
Si fa presto a dire “Tifiamo asteroide”, di fronte a tutte le tante, troppe brutte cose del mondo in cui viviamo. Perché poi, quando l’asteroide - o, in questo caso, il frammento di cometa - minaccia davvero l’estinzione di massa sul pianeta, e il governo sceglie di mettere in salvo solo un proverbiale 1% (in base al censo, ma più che altro alle professioni che saranno utili alla ricostruzione), ecco che tutto il restante 99, o buona parte di esso, vorrebbe essere salvato pure lui. E quindi non è solo corsa contro il tempo ma anche caos, devastazione, saccheggio, homo homini lupus.
Perlomeno, questo è quello che ci racconta Greenland, disaster movie sì, ma con la voglia di raccontare sentimenti e umanità più che di stupire con effetti speciali e di spettacolarizzare la catastrofe.
Lo si capisce subito che Ric Roman Waugh non vuole fare il Michael Bay, in questo film. Lo si capisce dal modo in cui sta attaccato al volto di un Gerard Butler sempre più somigliante a Francesco Totti (e qui regalo a gratis un’idea di casting straordinaria), al modo in cui gli fa fare quasi sempre la faccia da cane bastonato, e mica solo perché all’inizio della storia lo vediamo tornare a casa da moglie (Morena Baccarin)e figlio a orecchie basse, perché evidentemente deve farsi perdonare qualcosa di grosso, quel qualcosa che poi scopriremo nel corso della storia.
Fatto sta che Butler alla famiglia ci tiene tanto e davvero, e il regista ce lo mostra nella primissima inquadratura, che mostra la foto di sfondo del suo cellulare, in cui ci sono proprio moglie e figlio. Anche perché Greenland, sotto sotto, altro non è che un film sui legami familiari.
Quando si capisce che la cometa che sta passando vicinissimo alla Terra non è solo uno spettacolare fenomeno astronomico senza precedenti, ma che i detriti che ne fuoriescono provocheranno distruzione e devastazione, Butler riceve un messaggio che gli annuncia che lui e i suoi cari sono stati prescelti per essere portati in segretissimi bunker governativi situati in Groenlandia (da qui il titolo) e quindi salvati dalla morte; ma ovviamente il loro cammino verso la salvezza sarà più che accidentato, anche perché attorno a loro si scateneranno panico e rivolte, e siccome il bambino è diabetico viene respinto (nei bunker si va solo se si è eugenetivcamente validi) e i tre si perderanno, e dovranno ritrovarsi, il tutto mentre il mondo sta finendo, il caos è ovunque, e il bunker oramai sembra irraggiungibile.
Più che nel disastro, il cuore di Greenland sta nel dramma familiare quindi.
Certo, Waugh, nella storia dell’1%, e delle rivolte contro questo elitismo, e nella barbarie generale che viene man mano sostituita invece da una solidarietà fra persone mirata a salvare anche chi, secondo i governi, poteva non salvarsi, butta lì anche qualche pennellata leggermente e vagamente politica. Ma la politica di Greenland è quella dei sentimenti, prima di tutto.
Certo, ci sono la tensione, l’ansia, la catastrofe. Ci sono le tante obbligatorie ingenuità e le trite retoriche del blockbuster hollywoodiano e della cultura americana (si veda la parentesi con Scott Glenn, e quel che l’uomo dice; o il fatto che il frammento di cometa più grande e distruttivo ovviamente si dirige verso l’Europa).
Ma Greeland, prima di tutto, è la storia di una famiglia che si riunisce, e che riunita, come dice a chiare lettere Butler al figlio, è in grado di affrontare tutto, qualunque poi sia l’esito finale dei loro sforzi (e peccato, allora, che Waugh non chiuda il suo film nell’incertezza).
Ci può legittimamente chiedere come mai un film del genere, col carico d’ansia che comporta, venga fatto uscire quando siamo ancora nel bel mezzo della pandemia, e forse la risposta sta proprio in quel che Greenland mette in primo piano (faccione di Butler-Totti a parte): il fatto che di fronte alla catastrofe e all’apocalisse, l’unica cosa che può veramente dare conforto, e speranza di salvezza e superamento, è ciò che viene dal basso: la solidarietà tra persone, la forza di un nucleo familiare e dei suoi sentimenti.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival