Grandma: recensione del film indie di Paul Weitz con protagonista Lily Tomlin
Una nonna in aiuto della nipote in un veicolo su misura per Lily Tomlin.
Sono lontani i tempi della commedie mainstream come American Pie per Paul Weitz. Ormai da alcuni anni distaccatosi professionalmente dal fratello Chris - impegnato a scrivere per la saga di Star Wars dopo aver diretto Twlight Saga: New Moon - per seguire progetti dal sapore decisamente più indipendente. Rientra nella categoria a perfezione Grandma, costruito intorno al carisma e la biografia di Lily Tomlin, che interpreta una nonna ancora sconvolta per la morte della partner dopo 38 anni insieme, alla quale viene a chiedere aiuto la nipote adolescente rimasta incinta. Le due hanno una giornata intera per trovare i soldi prima dell’appuntamento fissato nel pomeriggio. Di coinvolgere la madre/figlia non se ne parla; ne hanno entrambe una gran paura, visto il suo carattere e l’agenda fitta da donna in carriera.
Grandma è Indie losangelino. Per intenderci, rispetto alla variante newyorkese niente lunghe camminate e incontri fortuiti in metro, qui ci si muove sempre in macchina, con le distanze lunghe e le ville sulle colline. La struttura è quella di un film on the road nella sterminata metropoli californiana in cui le tappe di questa caccia ai 600 dollari necessari all’auspicata soluzione del “problema” della biondissima nipote sono altrettanti passi in avanti della consapevolezza del rapporto fra le due.
Weitz si mette al servizio di una sceneggiatura equilibrata, con giusto l’attualizzazione LGBT a dare una patina contemporanea a una vicenda archetipica del cinema americano. Il cinismo del suo personaggio regala alla Tomlin momenti divertenti e battute efficaci nell’alimentare il ritratto di un’intellettuale femminista, poeta una volta di una certa fama, che ai suoi tempi ha combinato un bel po’ di disastri, in amore e nel trattare le persone che amava. Nella dolce e ingenua nipote vede l’occasione per redimersi, cercando di spronarla ad affrontare le difficoltà con grinta e qualche vaffa in più.
Risiede nella rappresentazione di struttura familiare come assodata, naturale sviluppo delle libere scelte individuali, uno dei meriti di Grandma. Senza intenti militanti delinea il ritratto pieno di umanità di una donna piena di difetti, in cui il personale diventa politico solo per chi vuole interpretarlo come tale, o vive in latitudini come le nostre in cui bisogna ancora ancora militare per ottenere diritti elementari. Una storia tutta al femminile, con la generazione del movimentismo anni '60 e '70 alle prese con un bilancio delle proprie scelte generazionali, mentre quella successiva, qui rappresentata dalla madre, è cresciuta per reazione nel culto del successo figlio dell'edonismo reaganiano. Cosa accadrà alla figlia, invece, a questa generazione che paga gli errori delle passate generazioni, alla ricerca di una propria identità? Weitz non cerca né dà soluzioni. Pone solo l'umanità come base per delle scelte che non siano impeccabili, ma almeno consapevoli.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito