Giulia: la recensione del film di Ciro De Caro

14 febbraio 2022
3.5 di 5
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Rigoroso, leggero e nuovo nel nostro panorama, Giulia ha il coraggio di raccontare una generazione a cui sono stati rubati i sogni in un’estate romana che la pandemia rende uno scenario da fantascienza distopica.

Giulia: la recensione del film di Ciro De Caro

Se Giulia nasce dal desiderio di Ciro De Caro di inventare un personaggio femminile che avremmo potuto trovare in un film di Truffaut o di Lelouch, o anche di Michael Haneke, con l'obiettivo di raccontare una storia diversa dal solito ma mai estranea a chi guarda, è giusto riconoscere che il regista, con l'aiuto di Rosa Palasciano (qui protagonista e co-sceneggiatrice), è riuscito nel suo intento. La stravagante Giulia, a metà fra sanità mentale e follia, e fra depressione clinica e sottile malinconia, è qualcosa, o meglio qualcuno, in cui raramente ci siamo imbattuti nel nostro paese, dove nei film l'idiot è sempre savant e la sua disavventura spesso e volentieri affidata a una non necessaria voce fuori campo o a monologhi che, per quanto stravaganti, rendono pesante ciò che si propone di essere leggero e finto ciò che nasce come autentico.

Giulia, che, in un'estate romana di verdoniana o morettiana memoria, cerca un posto dove stare e nel frattempo vive di espedienti, è il simbolo di un cinema che coniuga la leggerezza con il rigore, perché punta su una recitazione naturalistica e inchioda lo spettatore al personaggio privandolo di un accompagnamento musicale e di quei virtuosisimi della macchina da presa che fanno la gioia degli ultra-nerd e degli espertoni. Giulia, infine, è una ragazza spontanea che sceglie di non essere né una cosa né un'altra, proprio come la commedia di cui fa parte e che non è commedia fino in fondo né apologo sui giovani, né tantomeno rappresentazione di un universo in cui infuria un virus arrivato dalla Cina.

Ciò non significa che De Caro non abbia qualcosa da dire sulla generazione alla quale la protagonista appartiene, che non può permettersi di avere sogni perché è nata già con gli occhi aperti e con una disillusione che non si è tradotta in rabbia, voglia di rivincita o sarcasmo, ma in apatia, inattività e passività. Il regista, anzi, ha ben chiara la tipologia di individui che intende rappresentare, ma, invece di giudicare, semplicemente mostra e descrive, e ci parla di piccoli mondi già franati e di ragazzi e ragazze autoreferenziali e poco empatici. E’ in questo contesto che si muove Giulia, che è respingente ma può a tratti ispirare dolcezza e senso di protezione. Come molti, non sa se volere la libertà o se invece cedere al bisogno di appartenenza e alla voglia di maternità. Cavallo selvaggio che anela di tanto in tanto alle briglie, si interroga sul suo stare al mondo e, come molti, attribuisce la sua inattività a una fantomatica crisi, arrivata ben prima della pandemia.

Già, la pandemia... Perché non si fanno film sulla pandemia? Si teme davvero così tanto di dirigere qualcosa di datato o deprimente? In Giulia le mascherine si portano e non si portano, e le mani si disinfettano solo ogni tanto, ma l'allusione al Covid, che è quasi presenza sotterranea, permette di creare un clima da fantascienza distopica che è la cifra perfetta per Giulia. E infatti, guardando il film, sorge spontanea la domanda: Dove sono tutti? Hanno lasciato la città o se ne stanno asserragliati nelle proprie case? De Caro ci fa vedere pochi sparuti esseri umani, che si ritrovano insieme per caso, e alcuni sono volutamente e comicamente archetipici, come il vicino di casa sposato ma in cerca di sesso facile e il critico cinematografico spocchioso e intellettualmente snob. A costoro, e a Giulia e ai suoi due nuovi amici Sergio e Ciavoni, il Coronavirus ha permesso di far passare per "normali" sociopatia e manie di vario genere, e al mondo intero di avallare le stranezze di creature inafferabili.

Si vede che la sceneggiatura di Giulia è stata scritta anche da una donna, perché il film ha la straordinaria di capacità di mettere a fuoco le mille sfumature di un cuore femminile agitato da un vissuto doloroso, da una mancanza di affetto materno. Senza bisogno di una backstory da narrare per immagini, Rosa Palasciano ha colto lo spirito del personaggio e lo ha abitato camminando su una corda tesa. Sotto la corda, le insidie di una recitazione sopra le righe e di una difesa ad ogni costo del vagabondaggio esistenziale di ogni personaggio. Ciò non significa che non ci sia partecipazione in Giulia, dove è evidente la difesa della sospensione come tempo di pace e di attesa, come "luogo" dell’indecisione. Eppure l'eterea Giulia una decisione l'ha presa: quella di prendersi cura della sua bambina interiore, troppe volte sgridata o trattata da persona adulta. Giulia la accarezza e la tiene per mano questa bimba che ha sofferto, e per questo raccoglie giocattoli nell'immondizia e sulla spiaggia e li conserva, illudendosi di aver trovato la medicina contro le paure e l'altrui freddezza.

La freddezza, nel film di Ciro De Caro, è prerogativa degli adulti, perché gli anziani, a cui Giulia fa compagnia per racimolare qualche Euro e perché sentirsi utile la fa stare bene, sono buoni e fanno tenerezza proprio come i giovani, e non è casuale che siano questi due gruppi di persone i più penalizzati dal lockdown, i meno schermati contro la solitudine. Giulia ci fa riflettere anche su questo, oltre a invitarci a non liquidare come sbagliato o vigliacco ciò che non capiamo. I film ci spinge anche ad abbandonare la nostra comfort zone, se ci sentiamo come animali in gabbia, per trovarne un'altra. Ma non subito, per carità - sembra dirci De Caro. Magari possiamo muoverci fra un po’, quando una vocina interiore ci avrà sussurrato all'orecchio: è ora di andare. Chi non la sente, è bene che si abbandoni a una rassicurante incertezza. Alla faccia dei maniaci del controllo e degli iperattivi.



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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