Gigolò per caso - recensione del film di John Turturro con Woody Allen
John Turturro non rifà Woody Allen e si mette dalla parte delle donne.
Non dite a John Turturro che il suo Gigolò per caso ricorda o – cosa ben peggiore – somiglia a un Woody Allen d'annata, di quelli che il regista che suona il clarinetto produceva a getto continuo negli anni '80 e '90.
Non giudicate questa storia che pure si intrufola fra le pieghe della rigida esistenza della comunità ebraica ortodossa un tentativo di riproporre le ossessioni del regista che meglio di ogni altro ha raccontato la sua esperienza con la psicoanalisi, il sesso e le donne.
Non pensate nemmeno che la presenza di Woody Allen nel cast e il suo contributo alla sceneggiatura abbiano generato un ibrido a metà fra la personalissima visione dell'attore di origine italo americanaa e l'idea di cinema dell'autore di Io & Annie e di Blue Jasmine.
Senza elencare proprio tutte le differenze fra le rispettive poetiche, è chiaro che con Gigolò per caso Turturro si allontana dall'amico Woody per la maniera in cui guarda all'universo femminile.
Le donne, che non diventano mai schegge impazzite o grovigli di nevrosi, sono per lui individui da ammirare stupiti e da comprendere, in particolare quando la rigidità di una fede religiosa ne mortifica il bisogno di conoscenza.
Per questo si è inventato il "prostituto" Fioravante. Accettando di fare il mestiere più antico del mondo, il personaggio si fa soprattutto portavoce del desiderio del regista
di vedere le donne in qualche modo risarcite: siano esse attrici a cui affidare finalmente ruoli interessanti (quelle del film vengono accontentate!), siano esse parte – spesso lesa – di una coppia.
Accostando nella sua storia una molteplicità di donne, John Turturro individua come primaria necessità di ognuna di esse il bisogno di venire ascoltate, perché per tutte loro funziona il detto "Non c'è niente di più attraente, in un essere umano, della sua attenzione, del suo desiderio di conoscerti davvero".
Ne deriva che sex appeal di un uomo non c'entra nulla con la bellezza o con le pose da macho man, perché il fascino risiede altrove, per esempio nella cura con cui un fioraio crea le sue composizioni.
Non è un ode a Manhattan Gigolò per caso.
Piuttosto è un omaggio a Brooklyn: alla Brooklyn in cui Turturro è nato e attualmente vive, una città nella città nella quale, come in un romanzo di Paul Auster, si godono i piccoli piaceri della vita, ci si incontra in negozietti di libri e si celebra, sopra ogni altra cosa, l'amicizia maschile.
Qui gli amici per la pelle sono Virgil-Fioravante e Murray detto Bongo, un omino furbo che un Woody Allen "ben addomesticato" rende irresistibile.
John Turturro ci tiene a insistere sulla solidità del legame fra i due personaggi, perché, specie dopo i cinquant'anni, specie se non si ha famiglia, la condivisione di interessi, di gioie e momenti difficili è veramente l'unico modo per riempire i vuoti, per rimediare a quel bisogno di entrare in contatto con l'altro di cui il sesso a pagamento è una potente metafora.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali