Ghost Rider - Spirito di vendetta: la nostra recensione
Ghost Rider 2, il film di Neveldine/Taylor, con tutti i suoi limiti, è espressione significativa e non necessariamente disdicevole di quello che è o può essere, oggi, il B-movie commerciale.
I dati ovvi ce li leviamo subito di torno.
Fare peggio di quanto realizzato da Mark Steven Johnson con il primo film di Ghost Rider era difficile. E che si tratti di un newquel, come hanno dichiarato i nuovi registi, o meno poco importa.
Fatto sta che Ghost Rider – Spirito di vendetta, con tutti i suoi limiti, con la sua sfacciata coattaggine, la sua narrativa elementare, gli incessanti scuotimenti di macchina, le faccette istrionico-isteriche di Nicolas Cage e quelle un po’ sperse di Violante Placido, è espressione significativa e non necessariamente disdicevole di quello che è o può essere, oggi, il B-movie commerciale.
David S. Goyer , che già di suo non è Aaron Sorkin ma è uno specialista di cinecomic, sembra aver capito fin dalla fase di scrittura che con Neveldine/Taylor erano sufficienti poche e basilari linee narrative. D’altronde è chiarissimo a chiunque che la coppia di registi dei due Crank e di Gamer è interessata quasi (?) esclusivamente all’aspetto visivo e ludico (e non solo videoludico) della narrazione.
Infatti, fin dall’incipit che introduce il personaggio di un beffardo Idris Elba, Ghost Rider – Spirito di vendetta ripresenta tutta l’adrenalinica e caleidoscopica estetica che è il marchio di fabbrica dei due, solo apparentemente legata a doppio filo al mondo dei videogame e che possiede invece radici molto più ramificate, toccando le estetiche pubblicitarie e dei videoclip tanto che quelle degli sport estremi.
È vero che, rispetto alla radicalità dei due Crank, Neveldine/Taylor possono apparire quasi sottotono, leggermente addomesticati rispetto ai loro anarchici standard. Ma lo è anche che la loro ironia di grana grossissima e becera la loro adrenalinica e sorridente spensieratezza deflagrano comunque senza troppi freni inibitori.
Ghost Rider – Spirito di vendetta è allora un film intimamente metal. È surf ed è sky diving. È sciocco e decerebrato, ma sorride sincero allo spettatore e al mondo e non fa male a nessuno, perché è intimamente buono e soprattutto non dannoso.
Perché Nevedine/Taylor non si danno arie, non sono pomposi o boriosi come i Michael Bay e i loro budget, non hanno le patinature insistite dei Tony Scott o la retorica dei Roland Emmerich. Sanno che il gioco è bello quando dura poco e si sbrigano più possono a chiudere il loro film senza annoiare, tenendo ben presente i limiti d’attenzione del loro pubblico di riferimento.
E se sono davvero avant-garde come teorizzato da qualcuno, non sembrano rendersene conto o dargli peso. Per loro e nostra fortuna.
Insomma: il diavolo non è poi così brutto come lo si dipinge.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival