Gamer - la recensione dell'action movie con Gerard Butler

29 marzo 2010
3 di 5

Dopo la freschezza di Crank Mark Neveldine e Brian Taylor alzano il tiro e provano a realizzare un action che mescola suggestioni pop con le coordinate più triviale del B-movie, insieme ad un’esplicita denuncia dell’esibizione eccessiva della violenza da parte dei media. Il risultato è confuso e troppo superficiale per convincere. Anch...

Gamer - la recensione dell'action movie con Gerard Butler

Gamer - la recensione

Mark Neveldine e Brian Taylor, già autori della divertente sorpresa Crank e del suo seguito Crank: High Voltage – uscito da noi soltanto per il mercato dell’home video – arrivano in sala con questo action ambientato in un futuro non troppo lontano, in cui la violenza viene radicalmente spettacolarizzata in un reality in cui i concorrenti, tutti pregiudicati nel braccio della morte, combattono una serie di battaglie urbane in cui chi sopravvive per trenta scontri otterrà come premio finale la libertà. I concorrenti vengono però "comandati" a distanza da giocatori che possono inserirsi nel loro cervello ed adoperarli come semplici pupazzi per le loro acrobazie militari. Lo show, intitolato "Slayers", è stato ideato dal nuovo e potentissimo guru televisivo Ken Castle, colui che muove i fili dello showbusiness mondiale.

Il tema della fruizione bulimica della violenza mostrata, abbinato alla visione futuristica di un mondo controllato dal potere mediatico del sistema, non sono di certo nuovi al cinema. Dall’opera letteraria di George Orwell - e dopo la rivoluzione estetica operata dal cinema di Sam Peckinpah alla fine degli anni ’60 - queste due tematiche sono state sfruttate a mani basse da una serie praticamente interminabile di lungometraggi e cineasti. Neveldine e Taylor non soltanto non aggiungono nulla di particolarmente interessante o innovativo a quanto già ampiamente visto e sviscerato in precedenza, ma per di più inseriscono tale discorso in un’idea di messa in scena talmente pacchiana e sopra le righe da ottenere un effetto che si dimostra fastidioso invece che salutarmente straniante. Caricare esteticamente un film fino a farne esplodere la forma secondo le coordinate più “basse” del cinema popolare poteva anche funzionare in un film-contenitore dal tono leggero come Crank, ma quando si alza il tiro e si costruisce un’opera più seriosa come Gamer, c’era senza dubbio bisogno di un controllo maggiore sia del ritmo narrativo che della coerenza visiva del prodotto.

Abbandonato a se stesso, condotto senza nessuna attenzione allo sviluppo della trama o della consistenza dei personaggi, il film diventa fin dall’inizio un puzzle inconsistente di colori e suoni, accostati arbitrariamente. Se anche un tale pasticcio cinematografico potrebbe sembrare affascinante, ciò nonostante la confusione con cui viene presentato questo totale “vuoto pneumatico” su cui è stato assemblato Gamer lo rende sconclusionato, banale, difficilmente difendibile. Lavorando su personaggi che definire monodimesionali sarebbe un complimento, gli attori protagonisti di Gamer non riescono ovviamente ad incidere in nessun modo; alla fine si salva soltanto la star televisiva Michael C. Hall, che gigioneggia e mostra di divertirsi nel ruolo sempre ben accetto del “villain”.

Quanto di effervescente ed originale Mark Neveldine e Brian Taylor avevano saputo proporre al pubblico con Crank viene pesantemente vanificato con Gamer: quello che nell’atro film risultava leggero e divertente in questo si presenta come forzato ed inutilmente citazionista. Forse la vena creativa dei due cineasti aveva la forza propositiva di un solo lungometraggio: il sospetto appare più che legittimo.



  • Critico cinematografico
  • Corrispondente dagli Stati Uniti
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