Frozen - Il regno di ghiaccio: la recensione del film Disney di Natale

10 dicembre 2013
3.5 di 5
2

La Disney si rinnova e si rispetta

Frozen - Il regno di ghiaccio: la recensione del film Disney di Natale

Molto vicine da bambine, le sorelle Elsa e Anna sono state allontanate quando i poteri magici della prima hanno causato un piccolo incidente all'altra. Anni dopo, alla vigilia della sua incoronazione, Elsa non è sicura di poter contenere la sua capacità di ghiacciare gli oggetti, nè può confidarsi con Anna, la cui memoria del problema è stata magicamente cancellata da una tribù di troll vicina alla famiglia reale. Quando la tensione esplode ed Elsa scappa ghiacciando il regno intero, Anna decide di andare a recuperarla, partendo in compagnia del rozzo montanaro Kristoff, ben diverso dal suo amato Hans.

Frozen, molto (tanto) liberamente ispirato alla fiaba "La regina delle nevi" di Hans Christian Andersen, porta mirabilmente a compimento un processo di mutazione sociale e culturale del più classico prodotto disneyano. Se ci si dovesse fermare alla facciata di questo musical su principesse, si rischierebbe di registrare solo l'applicazione di regole e strutture più o meno antiche e rodate: le canzoni, trademark dall'epoca di Biancaneve, o i recenti battibecchi uomo-donna molto buffoneschi, che hanno portato a un successo inaspettato Rapunzel.
Così facendo però non si godrebbe delle qualità più grandi di Frozen: le canzoni infatti, a parte un'ispirata "Let It Go" ("All'alba sorgerò"), non sono all'altezza dei capolavori di Ashman-Menken degli anni Novanta, e diverse dinamiche comiche sono risapute.

Il cuore di Frozen è altrove, nella grande capacità di giocare con gli stereotipi narrativi, non ai fini di uno sberleffo alla Shrek, ma per accompagnare personaggi e spettatori in un percorso di maturazione parallelo.
Codiretto dalla prima donna in questa posizione in un lungo animato della Disney, Jennifer Lee, il film è l'altra metà di Brave della Pixar, proseguendo un discorso di emancipazione femminile che dopo il rapporto madre-figlia copre quello tra sorelle.

Sdoppiando la tipica figura della "Principessa Disney"(tm), la Lee, anche sceneggiatrice, sposta il vero motore drammatico della fiaba dai villain (pur presenti) all'incomunicabilità.
E' ancora l'amore che conta, ma in senso più lato, con una maggiore responsabilità: per affrontare la sfida delle relazioni romantiche, Anna deve passare prima per una visione chiara di se stessa e della sua famiglia. A queste principesse non è più concessa la passività di una volta, e la vera minaccia non arriva da spauracchi gigioneschi, bensì dai dubbi sulla propria identità.

Gli scomparsi genitori di Elsa e Anna non sono più le infallibili figure regali dei cartoon di mezzo secolo fa: impongono a Elsa di celare i propri poteri, sbagliando e avviando il dramma non con malvagità, ma con un fatale errore di valutazione, peraltro a fin di bene. Più che i poteri delle fiabe, i poteri di Elsa sono quelli dei supereroi di Stan Lee: capacità che generano superproblemi.
La stessa spalla buffa, il pupazzo di neve Olaf, non è solo tappezzeria umoristica, ma incarna una funzione emotiva e narrativa, essendo peraltro alfiere di un militante e curativo candore (sogna un sole caldo, che lo annienterebbe): l'essenza disneyana reale, non di facciata.

Moderno e antico allo stesso tempo, Frozen non si scioglierà dopo le feste di Natale.



  • Giornalista specializzato in audiovisivi
  • Autore di "La stirpe di Topolino"
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