Freud - L'ultima analisi: la recensione del film con Anthony Hopkins e Matthew Goode
L'incontro (immaginato) tra il padre della psicanalisi e C.S. Lewis e il loro confronto su un tema mica da ridere: l'esistenza di Dio. Ma il film, che pure conta su due ottime interpretazioni, non ha lo spessore sufficiente a reggere le sue ambizioni. La recensione di Freud - L'ultima analisi di Federico Gironi.
A due giorni dell’invasione nazista della Polonia, il Regno Unito e il mondo sono sulla soglia della guerra. Londra è in stato d'allerta, sono state distribuite le maschere antigas, i bambini vengono evacuati dalla città. Diciamo che qualche scusa per essersi presentato in ritardo da Sigmund Freud, il povero C.S. Lewis ce l’aveva pure. Ma il padre della psicanalisi si è seccato lo stesso, e non ha problemi a farlo notare.
D’altronde, Freud è Freud, e Lewis non era ancora del tutto Lewis, in quel 1939: “Le cronache di Narnia” arriveranno molti anni dopo, sebbene fu proprio l’esodo dei bambini verso le campagne a ispirargli la serie che lo rese celebre. Certo, aveva già pubblicato “Le due vie del pellegrino”, che è, nel suo essere così fortemente carico di fede cristiana, il motivo per cui Freud vuole discutere con lui: e pur tuttavia, abbiamo pur sempre nell’angolo blu uno degli uomini più influenti e brillanti del Novecento, un veneratissimo maestro che ha cambiato la storia dell’umanità e che di lì a due settimane praticherà l’eutanasia, e nell’angolo rosso un giovane professore di Oxford che al massimo diventerà uno scrittore di gran fama.
Forse la mia è ignoranza filosofica, ma diciamo che già in partenza, il confronto tra i due - che dovrebbe incentrarsi soprattutto sulla questione delle questioni, ovvero sull’esistenza di Dio - appare vagamente impari.
Sarà sicuramente per mia ignoranza che Lewis mi pare un avversario non alla pari per Freud, dato che questo è un film che nasce da una pièce teatrale ispirata a sua volta un saggio di un accademico americano che per anni ha tenuto a Harvard un corso nel quale metteva a confronto il pensiero sulla fede dello psicoanalista viennese con quello dello scrittore britannico; ma diciamo che Freud - L’ultima sessione, come film, non aiuta granché a rimettere i due contendenti sullo stesso livello. E, soprattutto, non è un film che è in grado di reggere il peso delle sue ambizioni.
Proprio lì dove la discussione tra questi due intellettuali va a toccare il nodo della fede, ecco che le parole e i dialoghi si fanno più superficiali, banali, risaputi. E se pensiamo che alla fine questa disputa dialettica si chiude con una sorta di parità ai punti (per gentile concessione di Freud, che pure non resiste a un’ultima stoccata), allora forse non è che la questione di Dio appaia in cima ai pensieri di chi questo film l'ha realizzato. Di sicuro non finisce in cima a quelli di questo critico e questo spettatore.
Allora, con buona pace di C.S. Lewis, l’unico vero motivo di interesse di questo film è il Freud di Anthony Hopkins. Un Freud di certo bignamesco, da Wikipedia, ma anche capace del dinamismo dell’ambiguità e del racconto della contraddizione. “Sono umano. Sono intrinsecamente imperfetto. E sono profondamente danneggiato. E sicuramente sto danneggiando gli altri”, dice Sigmund a un certo punto.
Gli altri, che poi sono sua figlia Anna. Sta lì, nel rapporto morboso tra Sigmund e Anna, se non il senso almeno il punto di interesse di questo film. E "l’ultima analisi" cui fa riferimento il titolo potrebbe essere non tanto quella - vagamente reciproca - di Freud e Lewis, quanto quell’ultima seduta che vedeva Anna paziente e Sigmund analista e che viene evocata in uno dei tanti, anche troppi flashback (e intervalli onirici) che movimentano un po’ l’impianto eccessivamente teatrale di un film non sgradevole ma di certo deludente.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival