Frantz: recensione del melodramma storico di François Ozon
Presentato in concorso al Festival di Venezia 2016.
Negli anni in cui si ricorda il centenario delle battaglie della Prima guerra mondiale, il regista francese François Ozon si ispira a una pièce del dopoguerra di Maurice Rostand portata al cinema da Ernst Lubitsch in uno dei film meno noti, per raccontare Frantz: tentativo di un francese di entrare nelle case, e idealmente nelle trincee, dell’ex nemico tedesco. Siamo nel 1919, la guerra è finita da pochi mesi. In una piccola cittadina una ragazza di vent’anni, Anna, porta ogni giorno fiori freschi sulla tomba del fidanzato e mai marito, soldato tedesco morto in prima linea. Un giorno vede un coetaneo, un francese (il Pierre Niney di Yves Saint Laurent), venuto a rendere omaggio all’amico conosciuto a Parigi prima della guerra.
Accolta in casa dai suoceri come una figlia, Anna vive una quotidianità di vedova inconsolabile, in cui il nuovo venuto alimenterà nuove e vecchie passioni. Non sveleremo altro della trama, visto l’intento di Ozon di mantenere il mistero sul rapporto fra i tre. Possiamo solo dire che oltre al senso di colpa, dei padri che spinsero i figli in guerra o di chi in trincea fu vittima dell’assurdità stessa della guerra, il film affronta la bugia come gesto ultimo di tutela da una verità inaccettabile e dolorosa.
Il bianco e nero ben si concilia con un melodramma trattenuto, ravvivato senza forzature da qualche sprazzo di colore, ricordo di un passato spensierato o proposito di un futuro migliore. Un triangolo che ruota intorno al personaggio assente, perno emotivo del racconto di un mondo sospeso, alla ricerca della dolorosa ricomposizione della quotidianità da parte di milioni di persone segnate dalla perdita. Anche una serie di bugie possono servire allo scopo di conciliare i nemici, divisi da anni di guerra e incomprensioni di decenni, ma unite dalle stesse sofferenze. Lo spirito di conciliazione lo si intravede farsi spazio con difficoltà fra le note accennate e mai esplose dell’Inno alla gioia, musicato da Beethoven sui versi del connazionale Schiller; un inno alla fratellanza universale attraverso gli ideali illuministici. I germi dell’incomprensione e del rancore sono così vivi in Germania che anche nel piccolo paese in cui il film è ambientato un gruppo di famigliari di caduti inizia a diventare un accumulatore di revanscismo nazionalista.
Frantz è il racconto su quanto difficile sia trasformare la condivisione della perdita in un sentimento positivo, con gli ingredienti del melodramma e un raffinato sguardo sul momento storico. Quella che colpisce è la particolare cura dei dettagli con cui rende il viaggio emotivo dei protagonisti, su tutti una straordinaria Paula Beer, con il suo cappotto tutto abbottonato e il cappello in testa. Il suo è un percorso di formazione compiuto con teutonico senso del dovere e una purezza d’animo struggente.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito