Final Destination 5 - la recensione del nuovo capitolo della serie

06 ottobre 2011
3 di 5

Quando hai un'interrogazione programmata e sei arrivato al quinto capitolo del libro, i più zelanti ripassano rileggendo tutto fin lì, altri solo gli appunti, altri ancora i titoli dei paragrafi.

Final Destination 5 - la recensione del nuovo capitolo della serie

Final Destination 5 - la recensione

Quando hai un'interrogazione programmata e sei arrivato al quinto capitolo del libro, i più zelanti ripassano rileggendo tutto fin lì, altri solo gli appunti, altri ancora i titoli dei paragrafi.
Steven Quale è uno zelante, lo si poteva immaginare da chi lavora con James Cameron agli effetti visivi ed è qui chiamato alla prima regia. Quindi lui si è riletto (visto) tutti e quattro i Final Destination. Poi ha cercato di fare bella figura.

Sempre più difficile. Sempre più difficile rendere divertente ed elettrizzante la cosa meno divertente del mondo.
Il presupposto fondamentale (che devi necessariamente trovare intrigante per vederne almeno uno) è sempre lo stesso: la Morte non accetta cambi di programma.
Ormai note ai più, ma per chi ne fosse rimasto all'oscuro, le regole di questo gioco distruttivo e spettacolare sono state scritte undici anni fa, e non sono più cambiate. Chi non le condivide può comprensibilmente abbandonare il campo (basta che non si porti via la palla!)
Il volo 180, la coda in autostrada, le montagne russe, la gara automobilistica erano solo i diversi cartelloni, per il resto si parte dallo stesso livello (di conoscenza con lo spettatore), che deve essere complicato in vari modi. Nel quinto siamo su un pullman diretto ad un raduno aziendale.

Non potendo usare la quarta dimensione Quale maneggia molto bene il 3D (battezzato nel numero precedente) e lo governa anche nelle sequenze senza incidenti. Queste ultime non sembrano dargli fastidio ma, in linea con le istruzioni, si tengono ben quiete dall'affiancare il pathos di quelle di annientamento. I suoi protagonisti, burattini nella mani della "signora in nero", sono volti freschi delle serie tv (Nicholas D'AgostoHeroes; Emma Bell - Frozen; Miles Fisher - Mad Men e Gossip Girl), però ne sapranno più di tutti gli altri dopo 11 anni, più di tutti Sam, quello che ha la premonizione che salva e condanna sè e il gruppo.
Ed è proprio il primo sogno di Sam, il primo maestoso crollo del ponte sopeso, con delirante catena di sciagure, a scioccare di più.

Per il resto è sangue e frattaglie, oggetti innocui, fuoco e condizionatori, non in quest'ordine ma in quello di sventurate ma possibili concatenazioni che rendono un luogo qualunque, una scena del crimine. Per il resto l'equipe ha sfidato le leggi della fisica e ha rovesciato tutto il campionario addosso allo spettatore, perché il quinto remake doveva essere più potente, e lo sguardo di chi è abituato a vedere sanguinosi, crudeli sfinimenti, è più esigente.
Non c'è alternativa narrativa in Final Destination 5, anche se forse qualcuno stavolta potrebbe salvarsi, c'è invece la buona ironia che fa parte delle regole, perché l'imprevedibilità della fine di ogni personaggio è talmente (programmaticamente) sicura, da predisporre all'umorismo rassicurante.
Dicevamo, la morte non accetta cambi di programma, e non ti dice il perché. Il fascino del concept originale è anche quello di non porre un quesito soprannaturale, ma un macabro divertissement.
La pregevole cornice tecnica di un teen-horror che spaventa (almeno me) in modo acrobatico, e (si) diverte a scegliere il miglior siparietto gore, vi basta?



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