Khorshid: recensione del dramma iraniano di Majid Majidi in concorso al Festival di Venezia 2020
Un gruppo di bambini costretti a lavorare per aiutare le famiglie in condizioni disagiate sono al centro di Khorshid, Sun Children, racconto tenero di ostinazione e voglia di riscatto diretta da Majid Majidi, presentato in concorso a Venezia 77.
Nel più puro stile neorealista che ha fatto grande il cinema iraniano nel mondo, soprattutto a partire dagli anni ’90, Majid Majidi, autore non delle generazioni più giovani, abituato a lavorare con i più piccoli, nonché primo iraniano a ricevere una nomination all’oscar per il miglior film straniero, per The Children of Heaven.
Majidi propone Khorshid, una storia omaggio alla loro voglia di spaccare il mondo, partendo dalla sopravvivenza all’interno di un contesto familiare e sociale difficile, proprio dei bambini. Anzi, Sun Children, questo il titolo internazionale, è proprio dedicato ai 152 milioni di bambini e minori costretti nel mondo a lavorare invece di vivere la propria crescita giocando, studiando e confrontandosi con altri coetanei. Una didascalia iniziale che può spaventare, far pensare che si tratti di un film militante e didascalico, mentre il piccolo miracolo di Majidi è di rendere il riscatto di questi grintosi e irresistibili bambini a tratti anche divertente e giocoso, oltre che drammatico e commovente, almeno quanto la volontà ferrea di (pochi) adulti intorno a loro di aiutarli.
Certo, ci sono anche quelli che li maltrattano e gliene combinano di tutti i colori, allora lì lo spettatore vorrebbe saltare sullo schermo a rendere offese e maltrattamenti subiti. Khorshid però è un inno di speranza, proprio grazie a loro, alle nuovissime generazioni, al loro candore ancora solo sfiorato dal cinismo del mondo che li circonda e dalle manipolazioni di adulti ormai tarati dal cinismo e da un maledetto egoismo. Sognano un altro mondo questi bambini, mentre per ora si accontentano di uno sotterraneo in cui sarebbe nascosto un tesoro. Cosa ci può essere di più intrigante per dei ragazzini, in particolare per Ali, 12 anni, un mucchio di lentiggini, degli occhi di fuoco quando si tratta di difendere gli amici o la ragazzina che le piace, e una grinta che commuove quanto la sua capacità indomabile di rialzarsi e riprovarci sempre, in cerca di un futuro migliore.
Ali è sempre con la sua compagnia, altri tre bambini insieme a lui, con cui gira per la città per sopravvivere e aiutare la famiglia con lavoretti o qualche furtarello. Con la soffiata del tesoro sotterraneo, però, dovranno ingegnarsi e iscriversi tutti alla Sun School, un istituto caritatevole che supporta i bambini di strada e quello costretti a lavorare, che si trova proprio sopra al tesoro, o presunto tale. Non avrebbero nessuna prospettiva, alcuni sognano di giocare a calcio e diventare famosi, tutti sperano in soldi facili, in un mondo che li sfrutta e non li considera, dandogli ancora meno possibilità di emergere, crescere o semplicemente guadagnarsi una vita degna di essere definita tale. Una storia edificante, semplice, coinvolgente e dal ritmo che non stanca mai, tanto quanto le facce dei giovani protagonisti, davvero delle perle in un film scritto e interpretato come si deve.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito