Like Father, Like Son - la recensione di film di Kore-Eda Hirokazu
Ci sono film, fortunatamente, che in un panorama generale non esaltante hanno da dire qualcosa di interessante e importante sui tempi che stiamo vivendo. E ci sono film, fra questi, che dicono ciò che devono con voce chiara e limpida, tanto più efficace quanto più lontana dai proclami e dalle lezioni.
Ci sono film, fortunatamente, che in un panorama generale non esaltante hanno da dire qualcosa di interessante e importante sui tempi che stiamo vivendo. E ci sono film, fra questi, che dicono ciò che devono con voce chiara e limpida, tanto più efficace quanto più lontana dai proclami e dalle lezioni.
Soshite chichi ni naru (Like Father, Like Son) è uno di questi.
Kore-Eda Hirokazu, che con l’andare del tempo ha affinato il proprio linguaggio cinematografico portandolo verso un elegante e leggero minimalismo capace di far riecheggiare senza distorsioni il racconto, trova l’uovo di Colombo nel trattare materie sentimentalmente ed eticamente complesse come quella della genitorialità, della famiglia e del loro significato riportandole alla sua essenza più elementare e innegabile, alla sua trasparente e inaudita semplicità.
L’assunto di Soshite chichi ni naru non è infatti dei più facili: tutto parte infatti quando una coppia scopre che il figlio di sei anni che amano ed educano è in realtà biologicamente di un’altra, e che in ospedale ci fu uno scambio di bambini, e tutto procede con i dilemmi dei rispettivi genitori riguardo il da farsi, il lasciare le cose come stanno o scambiarsi i figli nel rispetto della legge del sangue. Ma Kore-Eda dipana il racconto con mano lievissima e carica di coscienza, riuscendo a raccontare drammi e dilemmi laceranti senza mai alcuna retorica lacrimevole e ricattatoria, e soprattutto mettendo in scena un progressismo sentimentale ed etico che lascia senza fiato per emozione ed essenzialità.
Attraverso le posizioni variate e variabili dei quattro adulti coinvolti, e lo spaesamento prima sereno poi turbato dei bambini, Kore-Eda riesce a trasmettere allo spettatore il superamento di ogni contrapposizione tra genitorialità biologica e genitorialità culturale, facendo trionfare la seconda senza proclami né festeggiamenti e senza negare la legittimità della prima, nel nome di una legge universale che travalica paesi e generi e che si sintetizza nella semplicissima complessità dell’amore.
Soshite chichi ni naru riporta tutto alla base, all’unica realtà che conta: la genitorialità esiste laddove c’è l’amore costruito nel tempo e nella costanza, nella condivisione e nel conflitto, tra un adulto e un bambino. E la genitorialità non può e non deve essere mero tramandare e riproporre le proprie esperienze, o l’imposizone di uno stile e una disciplina, ma deve essere costante processo in divenire, di crescita e accrescimento reciproci. Tutto questo Kore-Eda lo racconta nel modo più lineare ed elementare possibile, inanellando una serie di quadri di vita quotidiana dove gesti e parole di semplicità quasi casuale sono a volte colpi emotivi ai quali è difficile resistere senza sentire lo stomaco annodarsi e gli occhi velarsi di lacrime. A qualsiasi tipo di famiglia si appartenga.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival