Elvis & Nixon: recensione del film con Michael Shannon e Kevin Spacey
Il resoconto fantasioso ma verosimile dell'incontro tra due personaggi iconici della storia degli Stati Uniti d'America.
Che la foto che ritrae il Re del rock'n'roll, Elvis Presley, e il 37° Presidente degli Stati Uniti d'America, Richard Nixon, stringersi la mano sia - come di ricorda una didascalia al termine di Elvis & Nixon - l'immagine più richiesta agli Archivi di Stato di Washington, non sorprende.
Non sorprende perché si tratta di un'immagine di clamorosa sintesi pop dell'incontro sorprendente e straordinario tra due icone, apparentemente antipodiche, della cultura e della storia americana del Ventesimo secolo.
Non sorprende, quindi, nemmeno che su quell'immagine, quell'incontro e sul percorso che l'ha preceduto (con la smania infantile di Elvis di ricevere un distintivo da agente segreto federale) qualcuno si sia preso la briga di girare un film.
La cosa davvero interessante di questo - diretto da Liza Johnson e co-sceneggiato dal Carey Elwes che per tutti rimarrà sempre il Wesley de La storia fantastica - che pure in superficie è una commedia leggera e piuttosto divertente, esaltata dalla performace di due ottimi attori come Michael Shannon e Kevin Spacey e dall'assenza di brani di Elvis (che al massimo canticchia "Suzie Q" dei Creedence in macchina), è il tipo di ritratto fatto dei suoi due protagonisti. Un ritratto inedito, e calibrato in modo tale da tratteggiare l'inizio del tramonto di un pezzo di storia americana con quello di due personaggi potentissimi e famosissimi, eppure schiacciati da irrequietudini, complessi e contraddizioni che sarebbero esplose di lì a poco.
Gli eventi del film, infatti, avvengono nel dicembre del 1970; Nixon fu costretto alle dimissioni dallo scandalo Watergate nell'agosto del 1974, mentre Elvis fu trovato morto lo stesso mese di tre anni dopo, piegato dalla depressione e dall'abuso di farmaci.
L'Elvis di Shannon è un personaggio che già porta con se i germi dei problemi psicologici che esploderanno di lì a poco, dell'andare fuori controllo delle manie e delle stravaganze che assumeranno proporzioni preoccupanti, ma fortemente consapevole di quello che sta perdendo: un'umanità, il ragazzino di Memphis sepolto sotto i paramenti del Re, rapporti sinceri con i suoi pochi veri amici. E nel ritrarre la sua costante malinconia, così come l'emergere in sordina di piccole follie, la recitazione sottotono di Shannon è perfetta.
Il Nixon di Spacey, invece, è decisamente lontano dal ritratto acido di Anthony Hopkins nel film di Oliver Stone, o da quello patetico del Frank Langella del Frost/Nixon di Ron Howard. Questo Nixon è complessato e rancoroso, ma prima di tutto un uomo pieno di fragilità, e solo dopo un politico cattivo e inadeguato; un uomo capace di rimanere sorpreso dal cantante che ha incontrato solo per far piacere alla figlia che voleva un autografo ("il leader del mondo libero che prende ordini da una studentessa di 22 anni"), perché come lui simbolo e (aspirante) tutore di un'America che già non esisteva più.
Anche se loro - bambini potentissimi, spaventati e colmi di arroganze - non lo sapevano ancora.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival