El mensaje: la recensione del film argentino di Iván Fund presentato in concorso alla Berlinale
Una ragazzina si aggira per la provincia polverosa dell'Argentina profonda insieme a due adulti che la utilizzano come medium per animali. Un viaggio quasi silente e sospeso insieme a Ivan Fund presentato in concorso alla Berlinale 2025. La recensione di Mauro Donzelli.
In viaggio costante, vivendo in una specie di van malandato, in un bianco e nero che si confonde e alimenta il panorama polveroso dell’Argentina profonda in cui si muovono una ragazzina di 9 anni e due adulti, una coppia. Si aggirano mantenendosi con delle “diagnosi” della piccola alle prese con una comunicazione speciale, magica da vera e propria medium, nei confronti di animali di ogni taglia, da una piccola tartaruga a quadrupedi ben più voluminosi. I due adulti la sfruttano? Non sembra interessare al regista, Iván Fund, più interessato a cucire un viaggio di crescita dall’infanzia alle prime responsabilità dell’adolescenza, se non dell’età adulta, con il tanto frequentato, e talvolta abusato nel cinema d’autore contemporaneo, realismo magico.
“L’innocenza è un tesoro”, come dice. E si intende bene la voglia di mettere in scena un momento della vita sottraendo il più possibile informazioni e accumulando invece immagini ed esperienze sensoriali, specie quelle provenienti dalla natura e dal modo in cui una ragazzina può percepirla e manipolarla.
È lei infatti l’elemento attivo di questa curiosa famiglia acquisita che si aggira per il paese, guaritrice di animali e anime, a partire dalla sua, che intuiamo essere distante dalla madre perché quest’ultima è ricoverata e sottoposta a qualche tipo di cure psichiatriche. Un cinema flou, indefinito, che talvolta confonde l’asciuttezza con la cripticità e un’ostinazione nel non dare coordinate in questo viaggio, e soprattuto questi personaggi. Una comunicazione latente, in un film che si intitola El mensaje, il messaggio, come quella fra i membri di questo triangolo inconsueto, in uno sguardo che sembra negare formalmente il viaggio, renderlo statico e interiore, mentre aspettiamo delle tappe e una direzione che non viene mai “concessa” da Fund.
Il ritratto che si ottiene è quello di un universo chiuso che si aggira in un paese in costante crisi, economica e non solo, in cui si insegue la poeticità sovrapponendo il rigore formale a un equilibrio complesso con le esigenze di autenticità, di realismo seppure emotivo che questa parabola esistenziale insegue fin dalla prima inquadratura. Si smussano gli angoli, ma anche le vicinanze umane fra questa piccola comunità, dando maggior valore all’esserci come tale piuttosto che alla chiara identificazione di quanto questa interconnessione sia sincera. Un po’ come questo giro d’affari soprannaturale della comunicazione con gli animali. Seducente a tratti, meglio affrontarlo senza troppe difese e interrogazioni razionali, con la semplicità di un’impatto di primo grado con un percorso sospeso fra innocenza e opportunismo.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito