Eden - la recensione del film sull'esplosione della musica elettronica francese
La giovane Mia Hansen-Løve racconta la storia del fratello esponente della french touch.
Fra le giovani registe francesi una delle più interessanti è Mia Hansen-Løve. Il suo stile piano e coinvolgente, pieno di sensibilità nel raccontare le sfumature dei suoi personaggi le ha fatto conquistare gli spettatori – per ora quasi solo dei festival – con piccoli gioielli come Il padre dei miei figli e Un amore di gioventù. Presenta ora Eden, film ispirato alle vicende del fratello Sven, che ha scritto con lei il film, noto DJ degli anni ’90, fra i paladini del french touch, musica elettronica alla francese da esportazione che spopolò anche in America.
Non è tanto o solo un film sull’esplosione della musica elettronica in Francia, ma soprattutto un film sullo scorrere del tempo, con il suo ritmo incontrollabile, che sia quello giusto per farci ballare o quello più incerto che ci fa crescere. Sulla paura di cambiare, sul rifugiarci in quello che amiamo o che crediamo di amare perché ci riesce bene. Sulla sensazione che il mondo intorno a noi si muova troppo velocemente, svegliandoci un giorno con il terrore di essere noi immobili, di non avere il necessario coraggio per evolvere, per adeguarci ai tempi che cambiano e all’età che impone delle scelte che ci spaventano. Che sia una famiglia o un genere diverso, rischiamo di confondere la coerenza con l’immobilismo.
Il protatonista, Paul, ha formato insieme a un suo amico un duo, i Cheers. Ama la cultura americana, si nutre della musica elettronica dei DJ di Chicago e New York. Vive sempre nella stessa casa, un piccolo studio da studente affacciato sui tetti di un quartiere popolare di Parigi. La sua vita segue la musica e con essa il crescere del fenomeno french touch, variante garage. Prima confinato in rave molto underground, poi sempre più diffuso anche nelle vie più centrali di Parigi. Per lui la notte è il momento in cui dimenticare tutto e pensare solo al vinile e a far ballare. Mia Hansen-Løve evita gli sterotipi del genere, lasciando scorrere la storia in maniera lineare, senza poco credibili scene madri, ma con piccoli cambiamenti che Paul sembra subire distratto dai suoi DJ set. Quasi catatonico, cammina per le vie di Parigi, sempre andando o tornando dalle sue serate, ipnotizzato come il suo sound. Le droghe sono un complemento naturale, così come le ragazze.
Il tempo passa, la loro musica si istituzionalizza, dai primi anni ’90 e il liceo arriviamo fino al giorno d’oggi. Le liste non sono più annotate su carta, ma su iPad, mentre intorno a loro i Daft Punk sembrano essere i soli a non passare mai di moda – anche se i loro nomi nessuno li conosce, non sono mai in lista – mentre il loro rigoroso garage, “tipo l'house ma più verso la disco”, sembra interessare meno. Se non ci si adegua non si diventa ricchi, ma si accumulano debiti. I gusti cambiano, le mode si evolvono, arriva la salsa per festeggiare il nuovo anno, e le ragazzine ballano Beyoncé.
Eden è un film sulla ciclicità della vita, necessario ricambio di energia che pretende il superamento del presente, la sublimazione dei rari momenti di felicità quando ancora tali non ci sembrano e diventano subito ricordi. La Hansen-Løve riesce con grande sensibilità a tratteggiare il momento in cui i ricordi diventano rimpianti.
Per concludere una postilla: non è certo condizione necessaria quella di essere un amante della musica elettronica per apprezzare questo film, quella sufficiente è amare il cinema che, raccontando una storia così particolare, racconta di tutti noi.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito