Dreams, la recensione: Stati Uniti e Messico, sesso e potere. E vince sempre il capitale.
Presentato in concorso al Festival di Berlino 2025 il nuovo film del regista Michel Franco con protagonista Jessica Chastain. La recensione di Dreams di Federico Gironi.
Da una parte c’è Jennifer una donna quarantenne, ricca, americana. Dall’altra Fernando, un ragazzo molto più giovane, non povero, ma messicano. Da una parte c’è un personaggio che a un certo punto dice al ragazzo una cosa tipo “ai gringos va bene quando gli puliamo il culo, ma quando otteniamo un lavoro come loro, la cosa non gli va bene”; dall’altra un altro personaggio che dice a Jennifer una cosa come “va bene aiutare gli immigrati, ma c’è un limite a tutto”.
Mi pare che tutto sia chiaro, considerato il fatto che Jennifer e Fernando hanno una relazione a forte carica sessuale. Sono innamorati, anche, o almeno così si dicono. Fatto sta che Fernando ha attraversato illegalmente il confine per arrivare da lei, a San Francisco, come vediamo all’inizio di Dreams (e capiamo subito che i sogni sono incubi, o si infrangono, o forse tutte e due le cose). D’altronde capiamo pure che quel ragazzo che esce da un camion pieno di disperati è diverso, perché belloccio, atletico, tonico (scopriremo essere un ballerino classico): e purtuttavia è pur sempre un messicano.
E quando arriva a San Francisco, sì, il sesso è una festa, ma Jennifer in fin dei conti di lui si vergogna, e poi, suvvia: c’è un limite a tutto.
I tira e molla tra i due protagonisti li scoprirete da soli, ma forse al finale della faccenda ci potrete già arrivare. Niente di grave, non è che Michel Franco miri alla sorpresa. O, se lo fa, è un po’ ingenuo. No, quello che Franco vuole raccontare, fotografare, dissezionare, mentre negli Stati Uniti sta succedendo quello che sta succedendo nei confronti degli immigrati messicani, è mostrare un rapporto di potere (economico, ma in fondo non solo) che appare drammaticamente immutabile.
Dreams non si fa problemi a raccontare due personaggi sgradevoli. Lei, soprattutto, certo, ma alla fine un po’ anche lui. Lei, che è bianchissima, bianca e diafana e algida e bella ma anche un po' pericolosa come Jessica Chastain, che è ricchissima e gestisce una fondazione per aiutare i meno fortunati (a San Francisco come a Città del Messico, dove ha conosciuto Fernando), che è ossessionatissima dal giovane amante ma che oltre certi limiti, insomma, non può. Nemmeno se il suo messicano (il ballerino Isaac Hernández) è borghese, bello, talentuoso, educato, ma messicano.
Sottotesti non ce ne sono. D’altronde, già Frank Underwood, citando (forse) Oscar Wilde, diceva: “Tutto nel mondo è sesso, tranne il sesso. Il sesso è potere”. Ci sono sottolineature, al massimo: Jennifer è sterile, non può avere figli. La sua casa (le sue case) sono fredde, razionali, poco accoglienti. I simbolismi sono chiari. L’America ricca ma sterile che cerca sangue giovane altrove, sfrutta l’immigrato per il proprio godimento, perfino la sua filantropia (come quella di Das Licht) nasconde uno spirito colonialista, ma quando gioco si fa duro, mica comincia a giocare: chiama l’immigrazione.
A dispetto del suo titolo Dreams, è dritto, razionale e lineare. Un teorema, altro che un sogno. Anche nella confezione, nel modo in cui mette e dispiega la sua storia sullo schermo, ha la stessa freddezza razionalista delle case di Jennifer. Non c’è mai passione esibita, mai del calore, nemmeno nelle scene di sesso, quando i due protagonisti si strappano letteralnente gli abiti di dosso, o si dicono a vicenda senza falsi pudori i loro desideri più selvaggi. Non c’è empatia, perché il mondo, quel mondo che Franco racconta, ne è privo. Il mondo è crudele, perché al sopruso del capitale il sottomesso risponderà col linguaggio che gli è stato insegnato (o che gli è proprio? qui c’è l’unica ambiguità del film di Franco); e a quel punto via con la controreplica del capitale. Che vince, sempre. Lo sappiamo. Vince perché non si guarda allo specchio, mai, e se lo fa vede solo quel che vuol vedere. Sappiamo anche questo.
Non è ci si annoi, ma tutto è così dichiarato, programmatico. Prevedibile. Non si sposta di un millimetro da quel che ti aspetti.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival