Dream Team - la recensione della commedia di Olivier Dahan
Il regista de La vie en rose gira un gradevole film sul calcio in cui però manca il gioco di squadra
Se non conoscessimo il nome e la solida fama di colui che lo ha diretto, Dream Team ci semberebbe un film che punta dritto al box-office, una commedia popolare e populista che sfrutta l'appeal delle calcistiche vicende e il talento dei migliori attori comici francesi per raccontare l'ennesima piccola vicenda di redenzione.
E invece, dietro la macchina da presa c'è un regista che conosce il mestiere, che ama continuamente rinnovarsi e che con La vie en rose ha saputo riscattarsi dal deludente I fiumi di porpora 2 portando la sua protagonista dritta verso l'Oscar.
Parliamo di Olivier Dahan, che prima della rischiosa avventura di Grace di Monaco ha pensato bene di spingersi nel territorio amico del film familiare senza disdegnare i temi e i modi della favola sociale.
Muovendosi fra il cinema di Jacques Tati e le storie di Ken Loach, il suo Dream Team allude alla scomparsa delle piccole imprese – nella fattispecie una fabbrica di sardine in scatola – senza gravare lo spettatore con slogan, dissertazioni, manifesti. Dahan ci dice che, insieme al calcio, il mondo sta cambiando, ma lo fa senza catastrofismi né giudizi tranchant.
La stessa scelta di una durata equivalente a una partita di calcio (e quindi breve) è indice di una scelta di leggerezza, a cui non si accompagna la pretesa di fare un film indispensabile.
Anche se non aggiunge nulla di nuovo a un genere ben collaudato, Dream Team si impone allora come un'opera onesta, la cui parte più efficace, paradossalmente, non è quella legata ai grossi nomi.
La rappresentazione degli abitanti del villaggio di pescatori di Moléne, che hanno scritte sul viso verità e poesia, è infatti di gran lunga migliore del ritratto degli ex campioni sportivi, nei quali si assommano tutti i cliché degli angeli caduti.
Capitanati da un superbo Jean-Pierre Marielle (il Saunière de Il Codice Da Vinci, per intenderci), gli attori che interpretano gli isolani la spuntano su Omar Sy, Franck Dubosch e compagnia.
Il problema di questi ultimi, infatti, è la mancanza di coesione, di un intelligente gioco di squadra.
L'intensità di José Garcia, così come la comicità da cartone animato Gad Elmaleh insomma valgono a poco, perché non si fondono in un coro potente di voci restando degli assolo.
Soltanto verso la fine, e in contemporanea con il miglioramento degli undici di Bretagna, smettono ciascuno di recitare su un proprio palcoscenico, ma ormai è tardi per la nascita di una magica alchimia.
Ci restano un messaggio di speranza per chi crede di aver toccato il fondo e la parodia di certi antieroi del mondo sportivo in cui è facilissimo riconoscere i giocatori e gli allenatori che proprio non ci piacciono.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali