Dracula 3D - la recensione del film di Dario Argento
Ispirato ai film espressionisti ma con macchie di colore hammeriane, Dracula 3D non è il film migliore del regista romano, ma è sicuramente un passo avanti sulla strada giusta.
Che Dario Argento sia uno dei nostri registi più giustamente conosciuti, amati, ammirati e imitati all'estero, anche da illustri colleghi, è un dato di fatto. Così come lo è la progressiva decadenza del suo cinema: da luogo di mostruosi e originali immaginari di morte, di favole nere e sanguinarie dipinte in tutti i colori del buio, che riprendevano estremizzandole le meraviglie visionarie di un maestro come Mario Bava, a vuota ripetizione di se stesso, alla ricerca di un miracolo che da tempo gli sfugge. Nonostante questo, Argento ha prodotto prove più che dignitose per la televisione (pensiamo soprattutto agli episodi di Masters of Horror) e, pur senza piegarci all'acritica ammirazione dei fan, confessiamo di aspettare ogni suo nuovo film come occasione di un possibile riscatto.
In questo senso Dracula 3D è un passo avanti sulla strada giusta, ed è indubbiamente più solido delle ultime prove del regista romano. Le pecche, al solito, vengono da una sceneggiatura e da attori – soprattutto i comprimari – non sempre “intonati”. Tornando al classico di Stoker, Argento si diverte a proporre un vampiro che è la versione bella del mostruoso Nosferatu di Murnau (fino a vestire Thomas Kretschmann nella zimarra nera di Max Schreck, obbligandolo alla stessa rigida gestualità), ma che ricorda a tratti il vorace e sensuale Christopher Lee della Hammer. Merito anche della splendida fotografia di Luciano Tovoli, che torna a collaborare con Argento dopo gli indimenticabili colori di Suspiria e Tenebre, e che si diverte qua a creare un sangue della stessa tonalità di quello che scorreva dalle labbra di Lee nel film di Terence Fisher. E bene ha fatto il regista ad affidare a Claudio Simonetti il compito di comporre una colonna sonora classica, per accompagnare una vicenda che si svolge, per probabili motivi di budget – niente Transilvania, zingari e traversata in veliero verso Londra - in un'unica ma bellissima location del biellese, il medievale Ricetto di Candelo.
Soprattutto negli interni il Dracula di Argento, che riesce a dare movimento all'azione nonostante il pesantissimo macchinario necessario al 3D, sembra quasi una pièce teatrale, e i rimandi visivi del film sono tanti e affascinanti. Peccato, come dicevamo, per le pecche attoriali (il primo Van Helsing veramente olandese, Rutger Hauer, offre una prova svogliata e goffa, come se fosse di passaggio sul set), per gli effetti digitali non sempre convincenti e per la sceneggiatura non all'altezza, ma quando di un film come questo ti resta negli occhi anche una sola immagine, significa che la mano che c'è dietro è ancora forte e potente. Il punto non sta certo nel fatto che Dracula si trasformi in gufo, in scarafaggio, o in una gigantesca mantide religiosa: il vampiro è un essere proteiforme che può mutarsi a suo piacimento in qualsiasi creatura desideri. Forse Stoker non l'aveva scritto, ma se è per questo non aveva scritto nemmeno le bestiali e ridicole mutazioni dell'acclamato e decantato Dracula di Coppola.
Insomma, “il cor contrito s'apre alla speranza”, in questo caso, che Dario Argento trovi per il suo prossimo film un valido sceneggiatore, come fu un tempo Bernardino Zapponi, e che si senta libero di seguire il suo istinto visionario per illustrare la storia. Del resto, coi budget che oggi può permettersi anche uno col suo nome, il nostro cinema di genere non è in grado di competere con le produzioni estere, e qualsiasi progetto anche elevato scelga di affrontare, è condannato a realizzarlo con mezzi (e risultati) da B-movie.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità