Don Jon - la recensione del film di Joseph Gordon-Levitt

08 febbraio 2013
3 di 5

Si aggiunge anche l'americano alla lunga lista di attori che hanno deciso di fare il passaggio dietro la macchina da presa, scrivendosi il personaggio di un postmoderno Don Giovanni dai connonati dichiaratamente generazionali.

Don Jon - la recensione del film di Joseph Gordon-Levitt

Con sguardo ludico e (a tratti eccessivamente) lieve Don Jon’s Addiction racconta una storia non (troppo) banale, e forse perfino utile al giorno d'oggi, che riguarda le dinamiche di coppia in questa prima parte di Terzo Millennio.
È evidente che il Joseph Gordon-Levitt neoregista, e anche interprete e sceneggiatore, miri a parlare a suoi coetanei. E non a caso ambienta una vicenda che potrebbe avere qualsiasi altro setting, o comunque avrebbe potuto averlo più neutrale, in quella parte di New Jersey coatto reso celebre da MTV ed erede di quello, più ruspante e genuino, degli italoamericani, di Springsteen e di Kevin Smith. Sarà per questo, anche, che il Gordon-Levitt protagonista imita sfacciatamente e con ironia le smorfie di De Niro applicandole proprio ad un personaggio che pare uscito di peso da Jersey Shore.

Attraverso il racconto di un donnaiolo seriale e quindi pornomane (o forse sarebbe meglio dire il contrario) Don Jon’s Addiction travalica lo specifico del consumo pornografico e dell’immaginario artificiale, egotista e unidirezionale della sessualità che trasmette, e tocca una costruzione e una fruizione del mondo che procede per modelli da ripetersi con becero automatismo che, per l’appunto, genera dipendenza. Molte delle scelte registiche ed estetiche di Gordon-Levitt vanno proprio in questa direzione; molte altre, di converso, sono giochini magari riusciti ma meno originali e furbi di quanto probabilmente non pensi il neoautore.
Appare significativo, però, che Gordon-Levitt assegni la funzione di risvegliare e sbloccare da questo loop il suo personaggio non alla sensuale e burrosa Scarlett Johnsson, simbolo però di una femminilità altrettanto programmata e programmatrice, quando alla matura e materna Julianne Moore. Una sorta di dolce e smaliziata milf che, all’erotismo, associa una funzione educatrice in quanto portatrice di valori e stili di vita diversi e dimenticati.

Se la coppia non funziona, insomma, è perché non ci si rispetta e si perseguono con egoismo modelli artificiali. E se la generazione di Gordon-Levitt è abbrutita da modelli piatti e plastificati, mirati a soddisfazioni di bisogni puramente egoistici, ecco che quella della Moore invita al recupero di una lentezza, di una spontaneità, di una vulnerabilità che rendono più umani, altruisti e vicini: nel rispetto l’uno dell’altro. E, perché no, a quello di una pornografia meno violenta ed autorefenziale, femminista, comunque diversa: richiamo che contribuisce a salvare in corner il film dalla possibilità di un moralismo strisciante.

Tutte queste questioni, in Don Jon’s Addiction, sono trattate con grande leggerezza, e il registro è sempre quello della commedia ammiccante e casomai vagamente sdolcinata, senza mai toccare tasti amari o difficili. Una sorta di feel good movie con un po’ di sostanza, che getta sul tavolo un po’ d’argomenti senza mai davvero approfondirli. La discussione, però, è aperta.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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