Dogman: recensione del film di Luc Besson con Caleb Landry Jones presentato in concorso a Venezia

31 agosto 2023
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Un uomo provato dalla vita e dagli uomini si rifugia nell'amore per i suoi cani nell'inclassificabile film di Luc Besson Dogman, presentato in concorso al Festival di Venezia. La recensione di Mauro Donzelli.

Dogman: recensione del film di Luc Besson con Caleb Landry Jones presentato in concorso a Venezia

“Ovunque ci sia un uomo infelice, Dio invia un cane”. Una frase manifesto del politico dell’ Ottocento francese, Alphonse Lamartine, che il connazionale di due secoli dopo Luc Besson utilizza all’inizio del suo bizzarro ritorno al cinema, Dogman. Una frase che cita Dio e il cane, che in inglese sono legati da un anagramma e rappresentano anche le stelle polari del protagonista del film. In quanto a infelicità, poi, Douglas sta messo decisamente "bene". È stato provato dalla vita, dalla famiglia e costretto a crescere come una bestia in gabbia. In sedia a rotelle per un problema motorio è la personificazione di chi riesce a superare mille prove, ferito ma non domo, e trova in una simbiosi con i suoi cani l’espressione più compiuta della sua vendetta con la sorte e con un bel po’ di esseri umani. Laddove lui ha degli handicap, ecco i quadrupedi che fanno il lavoro per lui, anche quello sporco. 

Che sia anche per il regista un modo per urlare al mondo, camuffato in un film di finzione, la sua infelicità se non la vendetta per alcuni maltrattamenti e accuse che ha dovuto incassare negli ultimi anni? Il giovane prodigio del cinema francese di Nikita e Subway, poi diventato imprenditore di sé stesso capace di incassare come nessuno nel suo paese, ultimamente ha perso il tocco e subito accuse per malversazioni finanziarie e per molestie, da cui è stato assolto. La presenza fra i ringraziamenti di Matteo Garrone fa pensare - lo diciamo per i malpensanti - che il titolo sia stato “concesso” in cordialità. I cani sono utilizzati, va detto, in maniera decisamente diversa e con una finalità (narrativa) e una fine (esistenziale) decisamente differente.

Impossibile riassumere la trama di questa variazione canina che sembra un eccentrico revenge movie, in costante sospensione fra ritmi e generi diversi, alterna Joker e I soliti sospetti, l’ironia e il dramma, flirta con il musical drag Queen con paillettes fino a classici francesi à la Edith Piaf in rigoroso playback, per poi condurci verso un’accelerata noir bella cupa. E invece no, dal poliziesco realistico alla sospensione (eccessiva) dell’incredulità che ci attanaglia una volta entrati in un film Disney con i soliti cani che abbaiano richiami spirituali e in fondo cristologici. 

Il bello è che tutta questa gimcana l’affronta stoicamente Caleb Landry Jones, texano dagli occhi d’angelo capaci di bagliori demoniaci, che proprio in un ruolo non proprio salottiero, quello di un omicida gustosamente plurimo ha vinto a sorpresa due anni fa il premio come migliore attore a Cannes per l’australiano Nitram di Justin Kurzel. E come non rimanere ammirati se riesce a sostenere, in parte, questi acrobatici salti della quaglia del demiurgo Besson in versione “lo famo strano”? Il viaggio di Douglas, per lo più raccontato durante un colloquio con una specialista in un parlatoio del New Jersey, è un labirinto che riflette lo spaesamento di una mente umana in sofferenza, una volta persa la speranza di un aiuto della società e delle istituzioni, affidato ormai alla sola organizzazione altruistica sociale e familiare che lo sostiene: quella dei suoi cani e salvatori. Da dibattito con gli amici, invita post visione a una salvifica bevuta alcolica che cancelli i dubbi. O li alimenti. 



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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