Behind the Candelabra - la recensione del film di Steven Soderbergh
La curiosità che circondava Behind the Candelabra era molta. Non foss’altro per la scelta bizzarra, seppur da parte di un regista che ha fatto dell’eclettismo il suo trademark come Steven Soderbergh, di dedicare un biopic ad un personaggio eccentrico, sopra le righe e iconico come Liberace era molta
La curiosità che circondava Behind the Candelabra era molta. Non foss’altro per la scelta bizzarra, seppur da parte di un regista che ha fatto dell’eclettismo il suo trademark come Steven Soderbergh, di dedicare un biopic ad un personaggio eccentrico, sopra le righe e iconico come Liberace era molta.
Che poi, di un biopic si tratta in senso lato, visto che il film si concentra sulla storia tra il pianista e showman e quello che è stato a lungo un compagno di vita e di lavoro: Scott Thorson.
È allora ancora più significativo che, sotto tutto il kitschiume inevitabile in un film che racconti Liberace, sotto i costumi e gli arredi, i corpi e le mossette, Soderbergh abbia incentrato il suo film sulla conflittualità di un legame che contiene dall’inizio alla fine, forse soprattutto alla fine, la forza e la bellezza dell’amore.
Michael Douglas e Matt Damon si sono affidati completamente al regista, arrischiandosi in territori per loro inediti, dando corpo e spirito, energia alla loro relazione e al film. Un film che inanellando scelte di scrittura e di regia all’insegna della massima semplicità – scelte che risaltano quindi nel contesto da costante messa in scena teatrale della vita di Liberace e di Scott – aiutano a far comprendere la semplicità di un sentimento che spesso si complica da solo o per via della vita.
Non c’è alcuna pruderie né alcuna voglia di scandalizzare facilmente per via della tematica omosessuale, in Behind the Candelabra, ma solo la semplice (ancora una volta) volontà di raccontarla. Volontà perfino rilevante politicamente, considerati i tempi che viviamo, la testarda negazione del suo essere gay da parte di Liberace, la sua morte avvenuta per complicazioni dovute all’AIDS che aveva contratto.
Proprio sul finale, quindi, quando in punto di morte Liberace riallaccia i ponti che aveva tagliato con Scott anni prima, il film di Soderbergh si fa quasi commovente nel far recuperare ai suoi protagonisti quel che avevano perso, strada facendo, per via delle loro differenze, dei rispettivi egoismi, di quella voglia di modellare l’altro ai propri voleri e alle proprie esigenze che dell’amore è spesso sinonimo di fine e negazione.
D’altronde, nel titolo c’era già tutto: guardate dietro il candelabro, dice Soderbergh, dietro il luccichio delle apparenze, dietro le fiammate brucianti dei conflitti. Guardate oltre e scoprite che del buono, del bello, dell’amore si posson sempre ritrovare.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival