Dieci inverni, la recensione del film di Valerio Mieli

10 dicembre 2009

Già presentato nella sezione Controcampo italiano della scorsa edizione del Festival di Venezia, debutta nelle nostre sale un'interessante opera prima che, date le date d'uscita così ravvicinate, può essere considerata l'involontaria e più riuscita risposta italiana alla commedia romantica a stelle e strisce 500 giorni insieme.

Dieci inverni, la recensione del film di Valerio Mieli

Dieci inverni - la recensione


Una fredda notte del 1999 Camilla, mentre torna a casa con un vaporetto in quel di Venezia, incontra Silvestro, giovane studente come lei, tanto estroverso quanto la ragazza è silenziosa e riservata. Complici le furbe manovre di lui, i due giovani trascorreranno una casta notte assieme: sarà l’inizio di un amore che travalica l’attrazione e che richiederà dieci anni per confessarsi e accettarsi pienamente. E Valerio Mieli, che ha scritto e diretto il suo film d’esordio, ce la racconta attraverso dieci capitoli di ambientazione invernale, fino all’ultimo ambientato nel marzo del 2009, non a caso alle soglie di una entrante primavera.

Quella di Mieli è un’opera prima più che discreta in più di un senso: lo è sia dal punto di vista qualitativo che per i toni che vengono utilizzati per descrivere una storia d’amore travagliata e snervante nei tempi che richiede ma dolce e potente, raccontata con un romanticismo asciutto ed equilibrato che non sa mai di melassa. Parlare della forza e della longevità di un amore vero, della sua capacità di resistere a gesti dettati dall’orgoglio, dalla gelosia, dalla paura, e alle sfortunate (non) sincronie non è forse tema originalissimo, ma Dieci inverni non ha l’ambizione di innovare (nemmeno in una regia pulita e lineare, e d’impianto piuttosto tradizionale): vuole solo raccontare una storia, ed è capace di farlo con una misura ed una discrezione (appunto) figlia principalmente di una scrittura molto equilibrata nell’alternarsi delle vicende e nei dialoghi, capace di evitare in quasi tutti i casi trappole retoriche, scivolate melodrammatiche, sentimentalismi eccessivi, giocando invece di levità, un pizzico d’umorismo e sottrazione. E senza aver paura di raccontare - come spesso invece accade - quelle durezze e quelle cattiverie che spesso sono parti integranti della vita e dell'amore. Una scrittura che a sua volta è ben supportata dai due giovani protagonisti, Isabella Ragonese e Michele Riondino, capaci di donare ai loro personaggi credibilità e persino simpatia ed empatia.

Ed è per questo che le vicende di Camilla a Silvestro si seguono con gusto e leggerezza, fino a quell’alba di primavera che preannuncia il disgelo delle difficoltà e la concretizzazione definitiva di un amore che aveva i canoni dell’inevitabilità fin dall’inizio. Ed è per questo che Dieci inverni, pur con quelle imperfezioni che sono forse inevitabili in un’opera prima, pur con qualche ingenuità e timidezza che potevano essere aggiustate, è un esordio italiano gradevole e che lascia ben sperare per il futuro.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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