Diamanti: la recensione del film di Ferzan Ozpetek

19 dicembre 2024
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La coralità raggiunge l'estremo con diciotto protagoniste nel film Diamanti di Ferzan Ozpetek. Una sartoria per il cinema negli anni Settanta con le aspirazioni e le frustrazioni di chi ci lavora. La recensione di Mauro Donzelli del film.

Diamanti: la recensione del film di Ferzan Ozpetek

“Siete i miei diamanti”. Lo dice, certo non inatteso, lo stesso regista Ferzan Ozpetek alle diciotto protagoniste di questa storia, durante uno dei momenti in cui è lui in persona, senza barriere o filtri, a rivolgersi ai suoi diamanti, alle diciotto donne che hanno lavorato con lui in passato e sono le sue preferite o le novizie che ha voluto coinvolgere in questa nuova proiezione onirica di un suo mondo ideale. Quello composto da un gruppo solidale, spesso ritratto in una terrazza con una tavola abbondantemente imbandita, in cui la vita nutre il cinema e viceversa, all’insegna del divertimento e di risate che superano le preoccupazioni. È sempre più questo l’universo di Ozpetek, quello di una vita vissuta che alimenta la nostalgia di una storia che più che proiettata nell’oggi trova spazio in un universo che rivendica la natura di sorellanza di cinema e sogno.

Come sorelle sono Alberta (Luisa Ranieri) e Gabriella (Jasmine Trinca), che portano avanti il nome e gli affari di una prestigiosa sartoria per il cinema. Siamo negli anni ’70, in modo da proiettare quanto il regista stesso ha vissuto quando come aiuto regista frequentava con assiduità la mitica sartoria Tirelli, assorbendo gli insegnamenti di maestri dei costumi come Piero Tosi, cinque candidature agli Oscar e un riconoscimento poi alla carriera. Le due protagoniste sono tanto diverse quanto legate, una è dura e porta avanti gli affari con efficenza, l’altra ancora stordita da un dolore che continua a tormentarla. Sono le protagoniste di quel “film sulle donne” che all’inizio del film Ozpetek ha proposto alle diciotto interpreti, con al massimo qualche incursione al maschile come quella dell’immancabile Stefano Accorsi, qui insopportabile regista che attira qualche sorriso.

Se è il luogo di lavoro a rappresentare il luogo in cui queste donne interagiscono, costanti sono le incursioni nella vita privata, nei rapporti complessi in famiglia o nei sogni delle più giovani, mentre le più esperte portano con sé i segni di delusioni vissute. È un palazzetto tanto elegante quanto lontano dall’idea industriale del cinema e della creazioni di abiti, quello della sartoria. Il sole filtra costante a ricordare che fuori c’è un mondo, ma soprattutto c’è un film da girare e molto lavoro da fare. Viene fuori un punto di vista diverso nei confronti del cinema stesso, tra solitudini e passioni, grandi legami e evidenti antipatie. Diamanti si nutre dei ricordi ma senza che la memoria si manifesti in confini sfumati o rapsodici, ogni tanto soffre semmai di una sovrabbondanza di tematiche che fanno perdere di mordente e profondità, mentre di ognuno dei tanti personaggi riesce a regalare una proiezione tutta propria.

L’intensa carica emozionale tipica del cinema di Ozpetek qui è veicolata da un gruppo di attrici in evidente stato di grazia, l’ambientazione risulta seducente e questa bolla sospesa che profuma di arte e artigianato, passione per il bello e per il proprio lavoro, riesce a coinvolgere. Regala un ritratto di sorellanza estrema, in cui si agisce senza rispondere a una richiesta diretta, ma a un istintivo altruismo di condivisione. Rimane una colonna sonora eccessivamente presente, insieme a qualche momento in cui la sovrabbondanza cerca di prendere il sopravvento. Ma Ranieri ormai conferma una statura di interprete fra le più convincenti del nostro cinema, accompagnata con altrettanta convinzione da Trinca e tutte le altre facce resistenti e pronte a rialzarsi di questi Diamanti.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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