Destroyer: recensione del noir con Nicole Kidman
Il film di Karyn Kusama su una poliziotta in cerca di vendetta è stato presentato in anteprima nazionale al Noir in Festival 2018.
Picchia duro Nicole Kidman - e picchia con il calcio della pistola squarciando guance e menti - nel nerissimo e durissimo Destroyer di Karyn Kusama, e barcolla ma non molla, e "aggredisce lo spazio", oltre ai demoni di un passato doloroso che la tormenta come un moscone impazzito e che la fa andare avanti imperterrita, a mo’ di robot giocattolo dalle pile ancora cariche, ma per poco. E’ straordinaria e sempre a fuoco l'attrice australiana, anche se un po’ troppo sgualcita e un po’ troppo imbruttita, quasi fosse la nuova Aileen Wuornos di un cinema USA acchiappa-Oscar ossessionato dalla pesante trasformazione fisica. E non perde mai la concentrazione, e parla con voce roca e con la rassegnazione di chi, nonostante abbia ancora un pezzo di vita da vivere, lascia che i giorni passino l'uno dopo l'altro, indolenti, annebbiati dall'alcool e illuminati solo a tratti da un affetto non ricambiato verso una figlia adolescente già "guastata" da uno "strambo" amore materno.
Non è la prima volta che Nicole cambia volto e si affaccia carica di speranza alla stagione dei premi, ma la detective Erin Bell che interpreta in un film dalla struttura drammatica complessa è per lei qualcosa di nuovo, così come lo è per noi, ed è una scommessa coraggiosa, perché una cosa è il naso finto di Virginia Woolf, "indossato" in The Hours, un'altra sono le occhiaie, i capelli spettinati, lo stomaco tumefatto e le mani coperte di macchie. Eppure dispiace (e non giova al film) che in questa donna che non ha più nulla da perdere manchi quella fiammella di speranza, quell'attimo di tenerezza, quella debolezza che fa rima con umanità che in una storia inventata diventa il gancio a cui lo spettatore si aggrappa per non sprofondare nella desolazione emotiva, per sperare, non in una redenzione o un lieto fine, ma magari in una seppur piccola trasformazione.
E invece il film "non fa sconti" e, come se fosse una legge di Murphy per immagini, sembra dirci che, se qualcosa può andare storto, lo farà, anche se l'indagine della poliziotta dalla giacca di pelle e gli anfibi procede senza grandi intoppi, come normalmente accade in un revenge o kick-ass-movie. Per fortuna qui non ci sono bicipiti oliati in evidenza né succinte canottiere alla Lara Croft, ma siamo sicuri che Nicole-Spaccatutto sia così distante dal Bryan Mills della serie Taken? Forse no. Pure lei si fa giustizia da sola, ma la giustizia in Destroyer è qualcosa di assai più articolato e interessante: è un concetto ambiguo, è l'alto ideale che spinge Erin e il collega Chris a intrufolarsi in una gang di rapinatori, ma reca con sé solo la magra soddisfazione di avere la coscienza pulita. Sono queste riflessioni su ciò che corretto e ciò che è sbagliato a privare il personaggio principale di quella monodimensionalità che sembra caratterizzarlo inizialmente, peccato però che arrivino tardi e che la caccia al killer di un presente continuamente alternato al passato sia tutto sommato prevedibile. E’ invece notevole la maniera in cui alla fine i pezzi del puzzle combaciano, sebbene l'attesa eccessiva dello svelarsi del segreto di Erin rischi di togliere mordente al racconto.
Ci piace molto anche l'atmosfera del film, ambientato in una Los Angeles dove l'azzurro di cieli che tanto aveva colpito David Lynch durante la sua prima trasferta nella città californiana, è "interrotto" dal grigio delle strade, dei parcheggi abbandonati, di case disordinate e di squallidi bar. In questo senso ha fatto un ottimo lavoro il direttore della fotografia Julie Kirkwood, dando a Destroyer un sapore indie in stile Lo Sciacallo - Nightcrawler che finisce per allontanarlo proprio da quei film di menare di cui cominciamo davvero a non poterne più.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali