Denti da squalo: la recensione di un'opera prima convincente ed emozionante
Arriva al cinema l'8 giugno Denti da squalo, convincente storia di maturazione firmata alla regia da Davide Gentile al suo debutto e interpretata da un giovanissimo e intenso protagonista, ben coadiuvato da un bel cast. La recensione di Daniela Catelli.
Un’estate avventurosa, gli amici ed un evento memorabile – traumatico o meno - che cambia per sempre la vita facendo crescere il protagonista: sono questi gli elementi alla base di molte storie di formazione americane, un genere poco praticato da noi ma declinato in maniera egregia e originale da Denti da squalo, bella opera prima di Davide Gentile, sulla scorta di una sceneggiatura premio Solinas di Valerio Cilio e Gianluca Leoncini, a lungo rimasta chiusa in un cassetto e per fortuna recuperata, grazie anche alla collaborazione con Gabriele Mainetti, produttore artistico del progetto nonché coautore della bella colonna sonora.
Il film racconta la lunga estate di Walter, un tredicenne orfano di padre, un ex criminale che ha abbandonato la sua vita precedente ed è morto in un depuratore per salvare la vita di un collega. Siamo al mare, dove questo ragazzino che sembra più piccolo della sua età, pieno di rabbia, fissa l'acqua imbronciato e vestito, tra coetanei nuotanti e vocianti, in conflitto con la madre che, distrutta dal dolore, cerca di stargli vicino ma non riesce a dargli le risposte che cerca. E’ così che Walter si introduce nella villa immensa e sinistra del Corsaro, dove scopre uno squalo nella gigantesca piscina, una torre con un sotterraneo che ha assistito a fatti di sangue, e trova nel parco un ragazzo di poco più grande, Carlo, che dice di esserne il custode e lo introduce in un piccolo mondo criminale, che a Walter sembra l’unico modo per accogliere l’eredità paterna, rifiutandone il ravvedimento che considera responsabile della sua morte.
Potrebbe risolversi tutto in una semplice e in fondo scontata storia di educazione criminale, nata dalla ribellione di un bambino divorato dalla voglia di crescere e capire, che trova nell’emulazione dei comportamenti coatti e sopraffattori dei grandi la propria rivalsa sul mondo. Ma Denti da squalo è un piccolo film a più strati, tutt'altro che superficiale, nelle cui acque profonde nuotano sentimenti repressi e verità nascoste, un’Isola del Tesoro che è contemporaneamente l’Isolachenoncè, in cui il giovane protagonista trova sì i pirati, ma soprattutto riscopre Il bambino perduto che è dentro di lui. E tutto questo (e molto altro) il film lo fa senza strafare, con una leggerezza del tocco, sia in fase di scrittura che di regia e di recitazione, che riesce perfettamente a tenere in equilibrio le diverse anime e suggestioni di una storia che potrebbe accadere ovunque, dove ognuno potrà vedere e riconoscere i riferimenti cinematografici e non solo e soprattutto ritrovare l’adolescente ribelle che è stato (non lo siamo stati tutto, in fondo?).
Denti da squalo mette in scena il lutto, la perdita, la necessità di venire a patti con la sofferenza e il dolore che fanno a volte parte della vita, le leggende che ci aiutano a vivere e soprattutto la necessità di scegliere da che parte stare: se con il pescecane che mostra i denti (come si canta di Mackie Messer nell’Opera da tre soldi) o nel mare della trasparenza, dell’onestà, del gioco e della salvezza di chi è vittima e prigioniero. A contribuire alla riuscita di questo sorprendente e promettente debutto, condito di ironia e meraviglia, sono davvero tutti i reparti, dalla scelta delle suggestive location agli ottimi effetti speciali (non dubitiamo per un attimo che lo squalo sia vero) alle performance degli attori: Tiziano Menichelli, debuttante assoluto, ruba la scena e buca letteralmente lo schermo, sempre credibile e spontaneo, ben affiancato dal Carlo di Stefano Rosci e dagli adulti, Virginia Raffaele, brava nel ruolo per lei insolito di questa mamma amorosa e dolente e - in ruoli minori ma non meno importanti - Claudio Santamaria, proiezione di Walter della coscienza paterna, ed Edoardo Pesce, che aggiunge col cameo dell'irresistibile Corsaro un bellissimo ritratto alla sua galleria di minacciosi ma a volte anche amabili villain. Sui titoli di coda parte – una scelta logica ma che ci commuove ugualmente – una delle più belle canzoni del giovane Edoardo Bennato, “Quando sarai grande”, e anche se ancora oggi che lo siamo da un pezzo non sappiamo perché e le promesse dei grandi non si sono sempre avverate, scopriamo di nuovo con Walter come la vita sia un’avventura da vivere in una perenne estate dell’anima, senza sprecarla in recriminazioni e vendette.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità