Debito di sangue: recensione del poliziesco diretto e interpretato da Clint Eastwood

13 marzo 2020
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Adattamento di un romanzo del grande autore di thriller californiano Michael Connelly.

Debito di sangue: recensione del poliziesco diretto e interpretato da Clint Eastwood

Se non esistono poliziotti al cinema che non siano cocciuti, se a interpretarli è Clint Eastwood state pur certi che sono coriacei come noci di cocco. Non fa eccezione McCabe, agente dell’FBI sempre abituato a essere in prima pagina, una celebrità fra i colleghi, e come tale non sempre amato, anche se la sua andatura, come quella di Clint Eastwood, si fa ciondolante, e gli inseguimenti più lenti o girati con l’aiuto di controfigure. Tanto che dopo un breve prologo in cui lo vediamo all’opera sul luogo di un delitto, lo troviamo in un letto d’ospedale mentre si riprende, ormai in pensione, da un trapianto di cuore. Il Debito di sangue del titolo è quello che lo spinge ad aiutare una donna che si presenta un giorno nella barca in cui vive, attraccata nel porticciolo di Long Beach, area di Los Angeles, e sostiene che il cuore che ha in corpo apparteneva al figlio, ucciso da un colpo d’arma da fuoco. Gli chiede, disperata, di aiutarla a trovare il colpevole. Che sia un assassino “vecchio amico” del detective, che sul luogo dell’ultimo delitto l’aveva sfidato invocandolo per nome e scrivendo col sangue sulla parete il suo numero di telefono? 

La sfida fra serial killer e agente, un classico della tradizione crime novel, qui portata avanti da uno dei maggiori cantori del sottobosco criminale di Los Angeles degli ultimi decenni, Michael Connelly, da un romanzo del quale è tratto il film. Il problema è che questo romanzo è stato brutalmente tradito nella parte finale, e cruciale, andando in direzioni molto personali secondo la penna di Brian Helgeland, capace di scrivere gioielli come Mystic River e l’angeleno L.A. Confidential, tratto da un altro grande narratore della città come James Ellroy. Non solo, però, ha anche legato il suo nome a film trascurabili, a dir poco, come La setta dei dannati o Assassins.

L’andamento anche narrativo del film segue quello del paziente col cuore nuovo, è poco ritmato, sequela di episodi e incontri senza mai un gran lavoro di costruzione della tensione. Sembra qui che Eastwood, persa la dissacrante e carismatica verve dei tempi migliori, almeno come attore, sia ancora lontano dal trovare la chiave che ha illuminato gli anni successivi della sua carriera da regista, quel suo sguardo sempre più disilluso sul sogno americano che l’ha trasformato in antieroe crepuscolare, dopo una vita di eroismo muscolare. 

Debito di sangue è un compito svolto senza troppa apparente convinzione, uno dei meno convincenti di questo ventennio da parte dell’autore californiano, e uno degli ultimi da lui anche interpretato. Un police procedural senza guizzi particolari che procede stancamente fino a una conclusione, a uno svelamento, in fondo non poi così agognato da noi spettatori. Più un episodio come tanti di una serie su un investigatore da sabato pomeriggio che un nuovo poliziesco di Eastwood. Per vedere i casi migliori ideati da Connelly, invece, quelli in cui Los Angeles brilla di seduzioni e contraddizioni hard boiled, allora meglio rivolgersi alla serie con protagonista il suo detective dell’LAPD, Harry Bosch.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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