Death Race, recensione del film con Jason Statham

28 novembre 2008

Prendete la struttura e gli stereotipi dei prison-movie, conditela in salsa post-apocalittica e aggiungete corse automobilistiche che puzzano di benzina e grasso e rombano con i muscolosi motori della auto americane. Buttateci in mezzo Jason Staham e qualche fanciulla piacente e mettete a cucinare. Ecco Death Race

Death Race, recensione del film con Jason Statham

Death Race, recensione del film con Jason Statham

Prendete la struttura e gli stereotipi dei prison-movie, conditela in salsa post-apocalittica e aggiungete corse automobilistiche che puzzano di benzina e grasso e rombano con i muscolosi motori della auto americane. Buttateci in mezzo Jason Statham e qualche fanciulla piacente e mettete a cucinare il tutto un regista dal gusto non esattamente elegante ma con un gran fiuto per l’intrattenimento popolare come Paul W.S. Anderson. Ecco Death Race, b-movie grezzotto e ruspante, che ha il solo intento di offrire un’ora e quarantacinque di intrattenimento a basso consumo di onde cerebrali.

Appare sinceramente un po’ pretestuoso andare alla ricerca di profondi sottotesti sociologici per via della trasformazione delle corse automobilistiche in mercificazione della carne umana che ha lo scopo di sedare le folle, sulla falsariga degli spettacoli del Colosseo della Roma antica; ché è per l’appunto da duemila anni che si mettono in scena dinamiche di questo genere. Quel che conta, in Death Race, è l’adrenalina della corsa: anche troppo, visto che Anderson sacrifica eccessivamente la narrazione (che pure a suo modo funziona negli incontri-scontri tra Statham e il perfido direttore del carcere interpretato da Joan Allen, o nei duetti col meccanico Ian McShane), annientando di conseguenza ogni possibile “spessore” . Ma soprattutto finendo con l’essere troppo ripetitivo e insistente sulle corse, girate con uno stile tanto dinamico quanto caciarone e frastornante.

Di chiara derivazione videoludica l’idea di permettere alle auto di armarsi passando sopra delle “icone” incassate nell’asfalto e ingiustamente mortificato il personaggio femminile di Natalie Martinez. Ma tutto sommato, Death Race scorre: finisce, guardi l’orologio, e capisci che la promessa di un’ora e tre quarti ad emissioni cerebrali zero è stata mantenuta.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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