Dead Man - la recensione del western di Jim Jarmusch

06 agosto 2020
4 di 5

Usciva al cinema nel 1995 e ci torna oggi in versione restaurata uno dei migliori film di Jim Jarmusch, Dead Man, con Johnny Depp e Gary Farmer, splendida e surreale incursione in bianco e nero nel West.

Dead Man - la recensione del western di Jim Jarmusch

Dead Man, quinto lungometraggio di Jim Jarmusch, uscito nel 1995, è un'incursione alla sua maniera nel western, e assieme al successivo Ghost Dog (dove ritorna il personaggio di Nobody), una delle vette della sua carriera e di quella del grande direttore della fotografia olandese Robby Muller, scomparso nel 2018, che dopo aver esplorato per Wim Wenders tutta la gamma del bianco e nero, riesce a crearne una versione ancora più affascinante per il regista americano con cui collaborerà a lungo. Ne nasce una fotografia unica, che diventa la cifra stilistica del film con le sue ombre e i nitidissimi primi piani (mostrandoci tutte le sfumature della facile interpretazione da parte di Johnny Depp) e che si rifà direttamente al cinema degli anni Trenta e Quaranta dove, come ricorda proprio Jarmusch in un'intervista dell'epoca, i vari toni del grigio erano l'equivalente della tavolozza dei colori.

Quando uscì questa lenta, ipnotica ballata che inizia in modo simile a Il castello di Franz Kafka con l'arrivo del contabile William Blake richiesto per un lavoro che non solo non avrà, ma che segnerà l'inizio della sua rovina, suscitò molte perplessità nella critica anche se ci fu chi (noi compresi) lo amò dall'inizio e saggi che ne sviscerarono le componenti mitiche e metaforiche. Jim Jarmusch non ha mai adoperato storyboard, eppure i suoi film hanno inquadrature di rara bellezza, che sembrano dipinte. Essendo totalmente indipendente e dunque padrone assoluto della sua visione e del modo che sceglie per esprimerla, da sempre il regista predilige uno straniante mix di alto e basso, che qui vanno a formare una storia dal ritmo forse lento per lo spettatore odierno, ma che è esattamente il tempo necessario che ci vuole per raccontarla.

William Blake è uno spaesato e pacifico individuo, rimasto orfano dei genitori. Viene da Cleveland, non fuma e porta un ridicolo vestito a righe, occhiali e cappello, il che ne fa un personaggio destinato a esser preso di mira in un West brutto e cattivo su cui aleggia il vento dell'industrializzazione (la cittadina si chiama Machine). Senza soldi e senza fonti di sostentamento, per aver casualmente ceduto all'invito di una ragazza (ancora una volta Kafka: stavolta America), si ritrova assassino e ricercato proprio da quello che avrebbe dovuto essere il suo datore di lavoro (un meraviglioso, irascibile Robert Mitchum, qua alla sua ultima iconica apparizione) di cui senza saperlo e per legittima difesa ha ucciso il figlio (Gabriel Byrne). Per catturarlo l'uomo assolda un trio di feroci bounty killer (gli impagabili Lance Henriksen, Michael Wincott e Eugene Byrd), nonché due sceriffi, mentre la taglia sulla testa di Blake aumenta sempre di più. Ad aiutare il fuggiasco, scambiandolo per il poeta omonimo, è un nativo americano colto e bizzarro che viaggia in solitudine e che gli chiede di chiamarlo Nobody (Gary Farmer), nessuno. Lungo la strada, altre ferite si aggiungono alla prima subita da Blake, che alla fine sarà pronto per il suo ultimo viaggio.

Dead Man è un film che parla di molti temi, alcuni dei quali ancora tragicamente attuali: la storia americana, la cultura indigena, la violenza che ha sterminato uomini e animali e su cui è nata un'intera società, le armi da fuoco diventate un'estensione innaturale del corpo. Ma Jarmusch tratta questi argomenti in maniera periferica e non invadente, perché il vero significato del film, espresso nella semplicità di una storia alla portata di tutti, è spirituale e metaforico. I versi di William Blake fanno da leit-motiv al viaggio del suo sfortunato omonimo: non sono soltanto citati da Nobody ma anche dai cattivi del film, dal cannibale psicopatico di Lance Henriksen prima di sparare alle spalle a un socio, dalla citazione biblica del missionario commerciante di Alfred Molina e dalla Sally di Iggy Pop, in una fantastica performance da “casalinga” di un duo di viscidi balordi interpretato – una vera delizia - da Jared Harris e Billy Bob Thornton.

Jarmusch non rinuncia ovviamente alla commedia con cui si è fatto conoscere e che resta il suo genere d'elezione, anche se in questo caso è molto più dark e si manifesta con particolari grotteschi (riservati soprattutto al trio dei bounty killer) e momenti splatter evidentemente finti. Tra le partecipazioni lampo di attori molto noti c'è anche quella di Crispin Glover, che nel treno a vapore è il fochista (altra citazione kafkiana) che parla all'inizio con Blake, e – basta un attimo e lo perdiamo – Steve Buscemi nei panni del barista. Nell'edizione restaurata che torna al cinema, Dead Man è un film che merita assolutamente scoprire o riscoprire, a 25 dalla sua uscita, per lasciarsi ipnotizzare dalla sua bellezza e dalla chitarra elettrica di Neil Young, Virgilio in questo inferno, le cui affascinanti sonorità ci guidano all'interno di un West dall'anima buia e desolata, illuminato a sorpresa da lampi d'umana ironia.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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