Dalla vita in poi - la recensione del film
In un momento di aspro confronto nel parlatorio del carcere, Danilo, 30 anni per omicidio sulle spalle, tenta un impossibile paragone tra la sua condizione e quella di Katia, la ragazza che scrivendogli per conto di un'amica si è innamorata di lui
Dalla vita in poi - la recensione del film
In un momento di aspro confronto nel parlatorio del carcere, Danilo, 30 anni per omicidio sulle spalle, tenta un impossibile paragone tra la sua condizione e quella di Katia, la ragazza che scrivendogli per conto di un'amica si è innamorata di lui, e che siede sulla sedia a rotelle per una distrofia muscolare, dicendole: "In fondo tu dalla vita in poi sei normale". Una battuta infelice del personaggio, ma un double entendre intelligente su cui si basa il titolo e l'assunto del film di Gianfrancesco Lazotti che ha vinto il festival di Taormina e ha ottenuto un importante riconoscimento a quello di Montreal.
Partendo da uno spunto e da un personaggio reale, il regista racconta una vicenda moderna che ha echi del Cirano di Bergerac, citato esplicitamente all'inizio. E tenta un esperimento abbastanza insolito per il cinema italiano: trattare temi seri come l'handicap e il carcere, tenendoli sullo sfondo senza indulgere in pietismi e stereotipi, ma, anzi, facendo della sua protagonista il motore attivo della vicenda. In effetti, che l'effervescente e volitiva Katia sia confinata su una sedia a rotelle lo si nota dopo un po', con un movimento discreto e en passant della macchina da presa, e ben presto ce ne dimentichiamo per concentrarci sulla personalità di un essere umano più forte della sua condizione e più "normale" col suo handicap di molti cosiddetti normali. Anche se appare macchinoso il modo in cui la ragazza riesce a incontrare l'oggetto del suo amore (è davvero così facile raggirare il direttore di un carcere e le leggi che ne regolano il funzionamento?), è molto credibile l'intensità del sentimento che spinge due giovani in apparenza senza futuro ad attaccarsi l'uno all'altro e a legarsi "per la vita" in matrimonio. Merito soprattutto degli attori, Cristiana Capotondi e Filippo Nigro, anch'essi premiati a Taormina, che interpretano due personaggi non facili e per certi versi antitetici con molta cura e passione. Irriconoscibile - e brava - Nicoletta Romanoff nel ruolo dell'amica coatta, strana figlioccia di una coetanea forte, matura e materna, e che sembra - lei sì - un po' lo stereotipo della ragazza ruspante alla perenne ricerca dell'amore, destinata sempre a finire nelle braccia sbagliate. E’ uno strano film, Dalla vita in poi, incentrato sui personaggi, senza voli pindarici di regia, strappa sorrisi più che risate ma che non manca di coinvolgere lo spettatore nei suoi momenti migliori.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità