Come saltano i pesci - la recensione del film di Alessandro Valori
La storia di un segreto che separa e riunisce due famiglie, raccontata con garbo tra commedia e dramma.
Matteo ha 26 anni e il sogno di fare il meccanico a Maranello. Ha due genitori che lo adorano e una sorellina disabile che lo segue come un cucciolo. Ma proprio quando riceve l'attesa risposta per presentarsi a un colloquio alla Ferrari, una disgrazia capitata a una donna a lui sconosciuta rimette in discussione il suo senso di appartenenza e la sua amorevole famiglia, spingendolo a partire, accompagnato dalla sorella e da una ragazza incontrata per caso, alla scoperta della metà della sua vita che non conosceva.
Anche in Italia, per fortuna, si fa ancora cinema indipendente, cioè non prodotto dalle major cinetelevisive, ma supportato da realtà locali e produttori che con investimenti non eccelsi riescono comunque a raccontare storie diverse, provando a uscire dal coro e a nuotare controcorrente, come quei pesci che invece di unirsi al branco decidono di saltare fuori dalla rete. In modo non dissimile a quello di tanti indie americani, anche in Come saltano i pesci i personaggi vengono presentati separatamente, senza che conosciamo i loro legami, come in un puzzle che pian piano lo spettatore ricompone e che assume un senso diverso alla fine, quando è completo di tutti gli elementi.
Un uomo pestato da sconosciuti, un incidente mortale, un ragazzo che rientra dall'estero su un’imbarcazione, un suo coetaneo colto in un'istantanea di serena vita di famiglia, due belle e trasgressive ragazze che decidono di andare a un rave: che rapporti hanno, o avranno, nella storia che stiamo per vedere? Per scoprirlo non c'è che giocare con le tessere che gli autori ci offrono, sperando che alla fine tutto torni. La scommessa fatta da Alessandro Valori e dal protagonista e coproduttore (nonché autore del soggetto) Simone Riccioni è quella di raccontare, coi toni realistici della vita, in cui si alternano naturalmente dramma e commedia, la storia di due famiglie e del segreto che custodiscono da vent'anni, all'improvviso portato alla luce da un tragico avvenimento. Il valore maggiore del film sta proprio nel riuscito equilibrio dei toni: nonostante il lutto, l'abbandono, la scoperta dolorosa che fa convergere i protagonisti, dapprima nemici poi riconciliati, c'è spazio anche per il sorriso, la risata e la speranza.
Al di là degli ovvi sottotesti religiosi, esplicitati nel film dalla bella figura del sacerdote e dalla preghiera del bravo ragazzo Matteo, colpiscono al cuore anche un agnostico e un ateo la verità e la compassione con cui viene rappresentata l’imperfezione umana. Una famiglia – tutte le famiglie, nonostante la pretesa di superiorità di alcune su altre - è sempre un'entità imperfetta, un coacervo di individui diversi che possono essere vittime di rancori e dolori, con stanze segrete di cui ci si illude di aver buttato via la chiave e che separano a volte per sempre i suoi componenti. A tenere insieme queste assortite compagini è l’amore, ma a volte nemmeno questo basta e si può decidere di cercare altrove qualcosa o qualcuno a cui appartenere.
Come saltano i pesci è un piccolo film a tratti poetico e surreale (vedi su tutte la bella e divertente sequenza della mucca), garbato e prezioso anche per le interpretazioni degli attori, molto naturali in ruoli sicuramente preparati a lungo. Sono tutti bravi (e belli), ma è soprattutto un piacere trovare Maria Amelia Monti e Biagio Izzo in vesti di attori "seri", così come lo è assistere alla performance di Maria Paola Rosini, la tenera ragazzina Down che agisce da saggia e spiritosa consigliera. Un valore aggiunto, infine, sta nella poco sfruttata ambientazione marchigiana, per una storia che per una volta non si svolge a Roma, ma ci ricorda che, nel bene e nel male, ci sono posti in Italia dove la vita ha ancora un altro respiro.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità