Cobweb: la recensione del film horror in streaming su Netflix

14 settembre 2024
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Samuel Bodin, creatore e regista della serie horror Marianne (anche quella su Netflix) conferma di avere qualcosa da dire anche con questo suo primo lungometraggio incentrato sull'orrore del familiare. La recensione di Cobweb di Federico Gironi.

Cobweb: la recensione del film horror in streaming su Netflix

Un bambino timido, solitario e vittima di bullismo. Una vecchia casa isolata. Due genitori affettuosi ma anche severi, e in qualche modo minacciosi. Strani rumori che vengono dal muro, che si tramutano in una voce che chiama il bambino, e che vengono minimizzati, se non negati, dal padre e dalla madre. Nel suo mettere assieme questi ingredienti, così come nel suo far sposare in meno di 90 minuti la fiaba nera dei fratelli Grimm con il J-Horror, con certo horror contemporaneo alla Sinister e in generale con il sotto-genere delle case infestate, Cobweb è di sicuro un film capace di risultare immediatamente familiare allo spettatore.

L’aggettivo non è scelto a caso, perché la questione interessante di questo film diretto da Samuel Bodin (quello che aveva già ideato e diretto la serie horror Marianne, anche questa su Netflix), la questione che viene prima di tutte le questioni formali, pure interessanti, e soprattutto prima di ogni possibile polemica su certa derivatività e su un terzo atto sicuramente discutibile sul piano estetico e su quello della sceneggiatura, è una questione - appunto - familiare. Anzi, famigliare.
In sostanza, senza spoilerare, o senza dire di più di quanto non sia già detto dal trailer, Cobweb parla di un bambino, Paul (il Woody Norman di C'mon C'mon), che si convince - meglio: che viene convinto dalla voce di bambina che viene da dietro il muro - che mamma Lizzy Caplan e papà Antony Starr siano più che strani o un po’ inquietanti. Che siano dei veri e propri mostri. Che si stiano preparando a fare a lui quello che han fatto alla bambina nel muro.

Ora, la questione aperta da Cobweb, film dichiaratamente a basso budget (siamo a 8 milioni e mezzo di dollari), dichiaratamente e non senza un certo orgoglio di serie B, è una questione in fin dei conti ovvia, ma anche eterna e quindi ineludibile. Una questione che riguarda il nostro rapporto con quanto ci è più prossimo (la famiglia, la casa) e che a volte, a guardarlo bene ci sembra nascondere, può sembrare nascondere, e a volte nasconde davvero, dei segreti inquietanti.
Quello messo sullo schermo da Bodin, in fin dei conti, è un racconto di formazione. Paul dovrà affrontare queste sue paure, il lato oscuro di ogni famiglia, e che questo sia reale o meno, in fin dei conti, è una faccenda che non toglie nulla al portato simbolico della sfida che deve essere affrontata. Anche perché è chiaro dal finale che, come a tutti noi nelle nostre vite, con quel lato oscuro il povero Paul dovrà fare i conti per tutta la vita, per la felicità degli analisti.

Non sono solo le ottime scelte di casting a supportare trama e temi di Cobweb, con Lizzy Caplan bravissima come sempre in un ruolo inquietante e sfumato. Bodin dimostra anche di saper gestire i tempi, i modi, la tensione e le inquadrature, componendo immagini forti e suggestive, a tratti perfino vagamente espressioniste, e rielaborando in molte scene (come quella dell'incubo di Paul) il banale dell’horror più risaputo in forme magari non nuove, ma interessanti e proiettate al presente.
Poi certo, rimane quel terzo atto: così sopra le righe e così spudorato, perfino stonato rispetto a quel che è venuto prima, che quasi quasi fa simpatia.
Quasi.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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