Citizenfour - la recensione del documentario su Edward Snowden premiato con l'Oscar
Un importante documento del nostro tempo, un inquietante e appassionante film a tutto tondo.
Esce da un tunnel nero, letteralmente, Citizenfour. Esce da un tunnell per arrivare a una luce, magari scomoda e accecante, ma sempre alla luce: del giorno e della verità.
Il tunnell è quello dei segreti, della notte dell'America post 11/9, delle traversie subite dalla stessa Laura Poitras dopo la realizzazione dei suoi precedenti documentari, polemici con le politiche e le verità ufficiali su Iraq e guerra al terrore delle amministrazioni statunitensi. A guidarci verso la luce, la misteriosa e-mail di un personaggio che si firmava, appunto, "Citizenfour", e che si rivelerà essere Edward Snowden.
Dopo un primo tentativo fallito di contattare Glen Greenwald, infatti, il più famoso whistleblower della storia degli Stati Uniti decise di rivolgersi alla documentarista americana per iniziare a diffondere le informazioni riservate sottratte alla NSA, presso la quale lavorava, da contractor, come tecnico informatico. A lei proprio in quanto vittima di una speciale sorveglianza da parte delle auutorità per via del suo lavoro. E solo grazie alla mediazione della Poitras, Greenwald e Ewen MacAskill (i giornalisti del Guardian che per primi pubblicarono le storie del cosiddetto Datagate) entrarono in contatto con Snowden, a Hong Kong.
Citizenfour è quindi due storie in una, che si intrecciano e si compenetrano: la storia delle procedure e delle pratiche di intercettazioni illegali dell'NSA e della CIA delle comunicazioni private di cittadini statunitensi e non solo, portata alla luce da Snowden (la storia politica, se vogliamo); la storia di come lo stesso Snowden ha contattato la Poitras e quella dei loro incontri e della loro separazione (la storia privata).
Mentre documenta i primi scambi di e-mail con l'uomo che gli chiede consciamente di disegnargli "un bersaglio sulla schiena", la regista getta le fondamenta del suo racconto ricapitolando i fatti relativi alle attività dubbie della NSA, tirando in ballo personaggi come William Binney o fatti come la famigerata falsa deposizione del direttore dell'agenzia Keith Alexander nel corso di un'udienza al congresso statunitense del 2012 o quella di James Clapper, della National Intelligence, del 2013. Così facendo, Citizenfour costruisce non solo una solida base di dati e fatti sulla quale risalteranno meglio le dichiarazioni di Snowden, ma anche quella di un racconto cinematografico nel quale l'impossibilità di trovare un porto sicuro dalle menzogne e dal controllo occulto genera tensione e paranoia.
Quando poi entra in scena Snowden in carne e ossa, e la Poitras lo riprende nella stanza d'albergo di Hong Kong nella quale dialoga con lei, con Greenwald e MacAskill, la tensione e la paranoia crescono con una progressione lenta ma inarrestabile, assieme allo sbigottimento per le verità che arrivano a accecarci.
Le parole di Snowden e i fatti che racconta e diffonde, però, non accecano la regista, il cui sguardo rimane sempre lucido e partecipe senza inutili interventisti, e che momento dopo momento, incontro dopo incontro, cattura tutta l'umanità del giovane informatico, appesantito ma mai davvero annichilito dal fardello che ha scelto di portare, dominato da una prudenza che legittimamente scivola nella paranoia, caratterizzato da una fragilità alla quale non può mai permettersi di cedere.
Quella di Snowden raccontata in Citizenfour è una vera e propria Passione, l'americano una figura cristologica che con pazienza e determinazione sceglie il sacrificio (nel suo caso l'esilio, l'abbandono dei propri cari, la fuga perenne) affinché tutti possano conoscere la verità.
E l'adesione politica e umana alle sue decisioni e alle sue azioni, da parte della Poitras, è carica una compassione che trapela sotto la forma da thriller che il documentario assume progressivamente.
L'umanità di Snowden, in Citizenfour, è tanto potente da rivaleggiare a armi pari con il portato politico e morale delle sue rivelazioni, e la regista lo sa bene. La sua momentanea sparizione, quando è costretto a lasciare Hong Kong, lascia un vuoto che viene riempito dall'effetto domino delle sue dichiarazioni, dall'accadere dell'inaspettato, come in ogni spy-story che si rispetti. E quando il film ritrova il suo protagonista, nel finale, protagonista di una sorta di parziale resurrezione e di una tregua armata con la sia storia, il meccanismo che ha innescato è oramai arrivato a toccare livelli talmente elevati da soprendere lui stesso.
Un finale da cinema, nel senso di finzione, carico di tensione e proiezione verso un futuro nel quale la luce è stata raggiunta ma le ombre icombono ancora, inquietanti, dall'alto.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival