Ci vuole un gran fisico - la recensione del film con Angela Finocchiaro
Nonostante un inizio lento e poco ritmato, il film di Sophie Chiarello riesce a raccontare con intelligenza e un pizzico di ironia i disagi della mezza età femminile
E' un po' come un diesel il primo lungometraggio di finzione di Sophie Chiarello: stenta a partire, impiega del tempo per carburare. Poi, una volta che il motore è stato avviato, il veicolo procede sicuro su strada fino al termine del tragitto.
Fuor di metafora, Ci vuole un gran fisico soffre, almeno nelle sequenze iniziali, di un problema di ritmo.
Sollecitata dal bisogno di presentare la sua protagonista, e di sottolineare la monotonia della sua esistenza, la regista apre con una descrizione eccessivamente lunga della sua routine e delle sue sventure che, come sempre accade, arrivano tutte insieme.
Ecco Eva, sembra dirci, che oltre a possedere il dono dell'ubiquità - come ogni donna che è anche madre e moglie, si trova a combattere una delle battaglie più aspre che la vita, ahimè, ci riserva: la lotta contro l'invecchiamento.
E' della menopausa, signori, anzi signore, che si parla, un argomento forse non troppo appealing, ma che è attuale per una buona percentuale della popolazione mondiale e che soprattutto colloca il film in quel territorio cinematografico che ospita prodotti americani come Tutto può succedere, E' complicato e Il matrimonio che vorrei.
Ecco, Ci vuole un gran fisico è la coraggiosa risposta di casa nostra a quei film sulle seconde possibilità.
Una risposta che si fa interessante nel momento in cui un angelo della menopausa (Giovanni Storti) dà una scossa al racconto e aiuta la nostra donna super impegnata a risolvere una crisi che non è solo personale, ma anche economica.
E' bene ricordare, infatti, che il personaggio della Finocchiaro si muove in un'Italia in cui il prepensionamento forzato e un certo sessismo sul posto di lavoro non sono realtà poi così sconosciute.
La Chiarello però non vuole fare un film di denuncia e svicola da prediche e pesantezza introducendo un elemento surreale che dà sì leggerezza al racconto, ma che lascia anche un fondo di amarezza.
E' molto brava Angela Finocchiaro a muoversi su questo doppio registro ed è logico che il ruolo sia perfetto per lei, dato che il film nasce da una sua idea. Amiamo la sua Eva quando è più malinconica e disperata, ed è bello che per lei arrivi un suggerimento: l'invito a guardarsi intorno, a lasciare andare, a sviluppare una propria originalità e a non professare il culto del corpo.
Non sono consigli nuovi, ma nuova, o comunque insolita, è la scelta di un film girl power che ha una protagonista femminile di mezza età.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali