Carnage - la recensione del film di Roman Polanski
01 settembre 2011
In 79, densissimi minuti, Carnage ribolle inquieto e sarcastico dentro le quattro mura dell'appartamento che gli da unità di luogo, seguendo in tempo reale le ipocrisie, le bizze e le idiosincrasie dei suoi protagonisti, denunciandole e mettendole alla berlina.
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Carnage - la recensione del film di Roman Polanski
Due coppie che non si conoscono, chiuse in casa per un confronto forzato che prende il via nel nome della tolleranza e della civiltà e che progressivamente, esponenzialmente degenera, fino a (ri)portare i quattro protagonisti alle radici più egoiste, rabbiose e intolleranti della natura umana.
S'intuiva facilmente perché questo assunto della celebrata pièce teatrale di Yasmina Reza "Il dio della carneficina" abbia potuto interessare un regista come Roman Polanski, e quanto si adattasse a molte caratteristiche della sua vena autoriale.
E difatti Polanski, nel testo della francese, sguazza felice e dispettoso come un ragazzino, divertendosi un mondo e divertendo il suo pubblico.
In 79, densissimi minuti, Carnage ribolle inquieto e sarcastico dentro le quattro mura dell'appartamento che gli dà unità di luogo, seguendo in tempo reale le ipocrisie, le bizze e le idiosincrasie dei suoi protagonisti, denunciandole e mettendole alla berlina. È indubbio che la natura del copione esponga anche il film alla pur non grave accusa di essere un ennesimo racconto, autoreferenziale e ombelicale, del mondo borghese, delle su illusioni, delle sue maschere, delle sue falsità.
Va però riconosciuto che, nelle mani di Polanski, la pesantezza e la scontatezza ideologica di questo intento viene alleggerita e sfocata da un’irriverenza cosmica che la travalica, facendo di Carnage qualcosa di più sfumato e meno incasellabile.
Impossibile non vedere lo stesso regista (che si regala un mini-cammeo di stampo quasi hitchcockiano) nel distacco sarcastico e disincantato del personaggio di Alan, quello che dichiara di credere “al dio della carneficina”, quello interpretato da un Christoph Waltz che mangia in testa ai tre colleghi Kate Winslet, Jodie Foster e John C. Reilly, comunque più che apprezzabili.
E difficile, forse, anche non considerare come il ragionamento comunque accessorio su colpa, crimine, giudizio e giustizia possa essere stato trattato in maniera non casuale da un personaggio che, da questo punto di vista, ha una storia nota e particolare.
Ma se questo secondo aspetto ci appare residuale, è il primo a rimanere impresso. Carnage mette alla berlina i suoi protagonisti con velenosità scoppiettante, gradevolissimo vetriolo e dosi massicce d’ironia, preferendo l’esposizione della piccolezza e del ridicolo tout court alla dubbia necessità di un'ennesima (auto)analisi che troppo stesso diventa (auto)assolutoria.
Tutto viene portato al grado zero del caos e dell'assurdo, e allora ecco che il peso di un criceto che guarda in macchina è assai maggiore di quello di una scontata e (in)civile riconciliazione infantile.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival
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