C'era una volta... a Hollywood: recensione del film di Quentin Tarantino in concorso al Festival di Cannes 2019

22 maggio 2019
2.5 di 5
73

Impressioni a caldo, e senza spoiler, come richiesto dal regista. Il film sarà nelle sale italiane dal 19 settembre 2019.

C'era una volta... a Hollywood: recensione del film di Quentin Tarantino in concorso al Festival di Cannes 2019

A Hollywood, nel 1969, ci sono un attore (che abita in Cielo Drive) e la sua controfigura (che è anche un factotum e un amico, e abita invece in una roulotte col cane, come il Martin Riggs di Arma Letale): uno lo specchio dell’altro, vivono in maniera simbiotica. Come nel film di Tarantino vivono in maniera simbiotica le tante storie che racconta: quella della strage di Bel Air; quella del cinema (e della televisione americana), in quegli anni stava vivendo la fine di un’epoca e l’avvento della New Hollywood; e dei suoi protagonisti. Tarantino prende questi tre piani e li mescola, li rende uno la controfigura dell’altro, in un mix quasi indistinguibile di finzione, o finzione nella finzione, e realtà.
Tutto C’era una volta… a Hollywood è basato su questo intreccio di personaggi, storie e piani narrativi, dal primo minuto fino al161esimo, che ne segna la fine.

Tarantino segue due giornate nella vita dei suoi tre protagonisti. Racconta nel dettaglio cosa accade al Rick Dalton di DiCaprio, alle prese con una fase cruciale della sua carriera, al disincantato e ruvido Cliff Booth di Brad Pitt, alla Sharon Tate di Margot Robbie. Frammenti e spezzoni grandi o piccole delle loro vite parallele, intervallati da inserti video di cinema e tv, insegne al neon, ristoranti messicani, set, produttori, piedi all’aria e drink.
Frammenti capaci di divertire molto (tutta la storyline di Brad Pitt - davvero übercool in questo film - è quella più dinamica e pop, ha una sequenza molto bella, ed è la vera spina dorsale del racconto) come di mettere a dura prova la pazienza dello spettatore (la lunga ricostruzione del film western in cui recita Dalton/DiCaprio), o di essere apparentemente e lungamente interlocutori (in ciò che riguarda Tate/Robbie).

Tarantino dimostra di essere sempre meno interessato allo stile brutale che l’ha reso famoso, ma che comunque continua a citare e omaggiare di continuo, nelle pieghe e nella forma del suo racconto, i film che ama. E qui conferma di essere sempre più lanciato verso un cinema che sia puramente teorico rispetto a sé stesso e alla sua storia.
C’era una volta… a Hollywood è un atto d’amore totale verso il cinema, la sua autosufficienza, e la sua capacità di influenzare e cambiare le vite, e nel cinema esaurisce sé stesso: in tutti i sensi. Dalla Manson Family che vive nello Spahn’s Movie Ranch, e che fa binge watching di serie tv, alla potenziale fine della carriera dell’attore protagonista, passando per un mondo che riflette sé stesso solo sugli schermi o sui set.
Questa volta, a differenza di quanto già mostrato dall’americano con i suoi ultimi lavori, il suo amore per il cinema tradisce un romanticismo malinconico e tenero che è l’unico elemento davvero inedito di un film che, per il resto, ripete buona parte del cinema precedente del suo autore.

Certo, Tarantino si diverte a far fare a botte Cliff Booth e Bruce Lee, o a raccontare la parentesi italiana della carriera di Dalton, ma è tutto un divertissement citazionista e occasionale, e si vede che in realtà gli interessa poco. Quello che gli interessa è dare vita a un mondo nuovo nato dalla sovrapposizione di storia e storie, pavimentare la strada per dove vuole arrivare col suo film.
A quel punto sappiamo già cosa accadrà, e da un pezzo, anche perché il giochino per il regista non è nuovo: quello che non sappiamo è come, e con che toni. Un cocktail di registri che per Tarantino sono la sintesi massima del potenziale salvifico del cinema. Altro che cinema che insegna la violenza e devia le menti, come in una battuta fin troppo ovvia negli momenti finali del film.

Che tutto questo, questa teoria e questo romanticismo, e questa fede incrollabile e un po’ ingenua nei confronti del mezzo che tutti amiamo, bastino a sostenere il suo film - un film che sull’altare di quelle idee sacrifica quasi tutto il resto - è un fatto puramente soggettivo. Io non ne sono affatto convinto.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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