C'è ancora domani: recensione del film di e con Paola Cortellesi
Nel suo primo film da regista, che apre la Festa del Cinema di Roma 2023, Paola Cortellesi parla della violenza sulle donne. Lo fa tornando al 1946 e preferendo al colore il bianco il nero. Al suo fianco c'è Valerio Mastandrea. La recensione di Carola Proto.
Ci sono donne che hanno fatto la storia e donne che la storia l'hanno attraversata senza lasciare traccia. Ci sono scienziate, poetesse, scrittrici e sante che sono andate contro corrente, lasciando preziose testimonianze alla posterità, e madri e mogli che sono state eroine della quotidianità, che hanno cresciuto figli e sono rimaste in piedi con il grembiule mentre il resto della famiglia mangiava. Ogni tanto, spalancando la finestra per far entrare la luce, hanno sospirato e sognato un vestito nuovo o un marito affettuoso proprio come Delia di C’è ancora domani, che somiglia alle nostre nonne e bisnonne e che per Paola Cortellesi rappresenta le donne di metà Novecento che non sono state abbastanza celebrate, o forse sarebbe meglio dire ricordate, prima di tutto per aver tenuto duro in un mondo nel quale contavano meno degli uomini e non avevano i loro stessi diritti.
Avendo seguito la carriera di attrice e in particolare di sceneggiatrice della Cortellesi, immaginavamo che avrebbe fatto un primo film dedicato alle donne, perché lo splendido monologo, la sera dei David di Donatello 2020, sulle parole che al maschile hanno un significato e al femminile un altro già conteneva il bisogno dell'attrice di dar voce a chi si è sentita dire "stai zitta, cretina" o "non capisci niente" da un marito, un fidanzato o un padre. C'è ancora domani, però, non è un roboante grido di protesta, una palla di cannone sparata contro l'intera popolazione maschile del pianeta. No, Paola conserva sempre la sua dolcezza di donna e di mamma, e da un lato parla il linguaggio della commedia, che conosce bene, mentre dall'altro colloca la vicenda di Delia e di Ivano - che appena si sveglia dà uno schiaffo alla moglie - nel lontano 1946, in una Roma in cui i soldati americani rimasti regalano ancora la cioccolata e le donne fanno la fila davanti all'alimentari sperando che la pastasciutta del giorno non siano i cannolicchi, che vengono molto meglio in brodo.
Nell'universo popolare e povero di Delia e di suo marito Ivano, le generazioni maschili sonosi somigliano tutte, e ognuna sembra avere un motivo valido per usare la violenza, sia essa fisica o psicologica, perché anche il possesso e il non ascolto sono una forma di violenza sulle donne, oltre che una mancanza di rispetto. Che poi Delia è molto più solida del marito, che è ottuso, indolente, iracondo, che si vergogna di essere povero e giustifica la propria rabbia dicendo: "Ho fatto due guerre". Poi c’è il fidanzato della figlia di Delia, che non vuole che la sua futura sposa si trucchi né che lavori, e Sor Ottorino alias il papà di Ivano, un vecchio tirannico, burbero e chiassoso. A lui, o meglio a Giorgio Colangeli che lo interpreta, è affidata la comicità del racconto, così come all'amica del cuore Emanuela Fanelli, e il cambio di tono serve quasi sempre a stemperare qualcosa che gli occhi non vorrebbero vedere o le orecchie non vorrebbero sentire. Ma questo qualcosa purtroppo c'è, esiste e va mostrato, e può diventare un numero di ballo, una routine mattutina, un livido che all'improvviso scompare, come se fossimo in un racconto fantastico o qualcuno avesse fatto un miracolo. E non a caso nella colonna sonora del film Paola Cortellesi ha voluto La sera dei miracoli di Lucio Dalla, probabilmente perché sulla nave di cui parla la canzone Delia ci salirebbe volentieri, magari insieme al meccanico Nino che l'ha sempre amata o a quel soldato dai denti bianchissimi che si esprime in una lingua incomprensibile. Ma il miracolo, o comunque un cambiamento, significa scardinare un sistema, e farcela da soli è impossibile. Ma il futuro ha fatto una promessa a Delia, solo che non possiamo e non vogliamo dire in cosa consista.
Non è una guerra all'altro sesso in C'è ancora domani, ma solo la presa di coscienza di uno status quo che ancora esiste, e la continuità fra passato e presente è suggerita dalla scelta felice, da parte della regista, di accompagnare il film con brani musicali moderni, sempre coerenti con ciò che si sta narrando ma che, accostati al bianco e nero della fotografia, danno a C’è ancora domani una connotazione pop che lo rende diverso da tutto ciò che abbiamo visto fino a ora. Niente viene lasciato al caso nel film e gli attori sono tutti a fuoco, a cominciare da Valerio Mastandrea, alle prese con un personaggio tutt'altro che facile e simpatico.
È una donna da cui prendere esempio Delia dal cuore grande? Forse un po’ sì, perché è sempre capace di rialzarsi. Di sicuro le Delie di oggi si rialzano con maggiore facilità, perché sono più battagliere e più tutelate dalla legge, però devono fare attenzione a non mettere in discussione i loro desideri e le cose in cui credono, perché a forza di avere accanto uomini sempre pronti a svilirle, umiliarle, mortificarle e svalutarle, perdono perfino la certezza di essere nel giusto. Il film della Cortellesi è dedicato anche a loro. Sarebbe bello se funzionasse un po’ da chiamata alle armi, e se le parole di Delia "C'è ancora domani" diventassero una specie di manifesto come il "Domani è un altro giorno" di Rossella O'Hara in Via col vento. Le due frasi non significano proprio la stessa cosa, ma entrambe invitano a credere nella propria resilienza, a non perdere mai la speranza e ad anelare alla libertà.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali