By the Sea, la recensione del film con Angelina Jolie e Brad Pitt

11 novembre 2015
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Secondo film assieme per la coppia più bella e famosa del cinema mondiale.

By the Sea, la recensione del film con Angelina Jolie e Brad Pitt

C'è qualcosa di spudorato, quasi di splendidamente osceno, nel modo in cui Angelina Jolie Pitt (così si firma, nei titoli di testa del film) mette in scena By the Sea, la sua storia, i suoi protagonisti. Nel modo in cui si mette in scena: fisicamente, psicologicamente, metaforicamente. Contravvenendo a una lunga lista di regole non scritte dello star system hollywoodiano, e le aspettative della loro fan-base di riferimento, la coppia più bella, ricca e famosa del cinema mondiale torna per la seconda volta assieme sullo schermo con un film che non potrebbe essere più diverso (eppure perversamente consequenziale) rispetto al galeotto Mr. & Mrs. Smith.

Tutto è bellissimo, in By the Sea, che è ambientato in un luogo bellissimo (un'isola maltese che fa da paradossale controfigura al sud della Francia), tutto attorno a un'insenatura bellissima e isolata dove sorgono un albergo bellissimo, e un bistrot bellissimo nel suo essere rifugio caratteristico gestito da un uomo umanamente bellissimo, ed è lì che arrivano i due bellissimi protagonisti, vestiti con abiti bellissimi, e poi altri due personaggi bellissimi pure loro. Nemmeno quello della Jolie Pitt fosse una versione solo un'anticchia meno vintage e dalla fotografia più nitida di quella del Single Man di Tom Ford, senza la grana della pellicola.

Ma sotto questa superficie, di bellezza nella storia di questo film ce n'è poca: perché Vanessa e Roland - la coppia interpretata dai Brangelina, che è i Brangelina - è caratterizzata da un'infelicità cosmica, dai piccoli e grandi egoismi, dalla voglia di ferirsi per provare qualcosa. Lui, scrittore in crisi d'ispirazione, beve e fuma oltre ogni limite secondo i peggiori cliché; lei, ex ballerina che porta nella mente i segni di un misterioso trauma, passa dalle pillole al letto secondo le più efficaci linee guida della depressione, respinge il marito in ogni modo, annega gli occhi nelle lacrime e nel mare che osserva solo da lontano, per non cedere a tentazioni suicide.
E perché la strada per tentare di riconquistare l'intimità e la felicità perdute passerà letteralmente sopra quelle di un'altra coppia, più giovane e armoniosa, che Vanessa prenderà di mira, voyeuristicamente, nella maniera più scontata, coinvolgendo Roland e poi spingendo il gioco verso conseguenze quasi estreme.
“Sono una persona cattiva?,” chiede lei a lui, verso la fine del film. “A volte sì,” le risponde lui.

Bisogna riconoscerle del coraggio, ad Angelina Jolie Pitt, che è una che può fare quello che le pare e lo fa.
Vuole omaggiare come può il cinema francese degli anni Sessanta e Settanta?  Antonioni? La grande letteratura americana degli Hemingway e dei Fitzgerald? Vuole girare un film retrò, imploso, laconico, anacronistico, che osa nell'estetica? Lo fa.
Fa tutto, fino alle estreme conseguenze. E non ha alcuna ritrosia a mostrare (anche i suoi limiti, le sue ingenuità) e mostrarsi, né a fare chiaramente della storia di Vanessa (e Roland) lo specchio delle sue ossessioni di donna e di moglie. Una donna evidentemente sconcertata dal proprio rapporto con il corpo e la femminilità, una moglie che non si rassegna al suo ruolo e alle sue fortune.
Eccola, allora, Angelina Jolie Pitt, scatenare il suo ego e la sua pubblica autoanalisi, mostrasi in primo piano, in tutta la sua bellezza, in tutta la sua magrezza. Mostrare il seno, rifatto in seguito alla doppia mastectomia volontaria e dai capezzoli perennemente eretti; mostrare gli occhi, enormi, sgranati, alla ricerca di qualcosa o semplicemente di sé stessi, della loro stessa immagine sul grande schermo.

Spudorata, oltraggiosa nelle ambizioni e nell'autorefenzialità Angelina fa quello che vuole, fa un film molto migliore dei suoi precedenti, mentre Brad sta al gioco, come Roland con Vanessa.
Al gioco stiamo anche noi, affascinati dalla determinazione e ipnotizzati dalla bellezza, disposti perfino a perdonare gli eccessi dell'ego e della vanità, del giocattolo milionario figlio forse della noia.
Tranne, forse, la rivelazione del trauma di Vanessa, tanto gonfiato nel corso del racconto da scoppiare come una bolla di sapone al tocco della sua esplicitazione e della sua pretestuosità.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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