Burlesque - la recensione del film con Christina Aguilera
Ci sono film che, involontariamente o meno, riescono a catturare il loro tempo, le dinamiche sociali culturali che li circondano e li incastonano. Che si fanno specchio più ampio della storia che raccontano. Burlesque è uno di questi film.
Burlesque - la recensione
Ci sono film che, involontariamente o meno, riescono a catturare il loro tempo, le dinamiche sociali culturali che li circondano e li incastonano. Che si fanno specchio più ampio della storia che raccontano. Burlesque è uno di questi film.
L’appropriazione da parte del mainstream di un genere spettacolare tradizionalmente alternativo e irriverente, negli ultimi anni lentamente elaborata (con modalità e risultati diverse) da personaggi come Dita Von Teese e da cantanti come Madonna, Lady Gaga, le stesse Christina Aguilera e Cher, pare con questo film arrivare ad un compimento definivo. Ed ecco spiegato il vero perché di un titolo così perentorio, così come quello di una struttura che non è quella di un musical ma è costruita su una serie di numeri musicali che sono chiaramente videoclip che vivono di vita propria, raccordati da un filo narrativo sfacciatamente e serenamente derivativo.
Steve Antin, esordiente di buonissime intenzioni, sembra poi volersi immedesimare nella storia di riscatto e successo della sua bionda protagonista, cercando di emergere dando il meglio di sé, pur rimanendo cosciente che il massimo risultato ottenibile è quello di conquistare un ruolo di primo piano sul palco di un locale del Sunset Boulevard.
Se è ben chiaro che i modelli sono le esagerazioni camp di un David LaChapelle (o persino di un Moulin Rouge), lo è altrettanto che l’intenzione è quella di smussarli il più possibile, di filtrarli attraverso una sensibilità che sia il più possibile ecumenica ed universale. L’ancheggiare e l’ammiccare della Aguilera sono ben sotto il livello di guardia espresso in video come Dirrty, la sensualità e l’erotismo del film sono quelli tutto sommato infantili e sintetici delle Barbie e dei loto costumini di piume e paillette. Le descrizioni del mondo di un certo tipo di teatro e di rivista musicale, con tutte le sue polverose difficoltà, non hanno alcun sentore della decadenza malinconica di un Tournée. Le evoluzioni spettacolari e sentimental-carrieristiche delle protagoniste non cadono mai nel trash ricercato di uno Showgirls.
Burlesque è quindi tanto innocuo quanto insipido, talmente sfacciatamente timoroso nella sua ansia di normalizzazione da risultare (auto)ironico e strappare (in)volontari sorrisi. E proprio perché dichiaratamente lontano da ogni forma di proposizione politica, può forse toccare le corde della noia ma di certo non quelle dell’indignazione. Se poco può rimanere nel post-visione persino immediato, quel poco ha comunque la forma della straordinaria solidità di Stanley Tucci, di un ambiguo ammiccamento di Alan Cumming e di un paio di battute che, saremmo pronti a giurarlo, appartengono alla penna della non accreditata Diablo Cody. Sipario.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival