Beetlejuice Beetlejuice: recensione del sequel di Tim Burton che ha aperto il Festival di Venezia

28 agosto 2024
2.5 di 5

Un ritorno alle origini, insieme alla famiglia al centro di un classico fra gotico e commedia, punto di partenza per la carriera di Tim Burton. Molti ritorni e qualche nuovo innesto ora per Beetlejuice Beetlejuice, sequel che apre fuori concorso il Festival di Venezia. La recensione di Mauro Donzelli.

Beetlejuice Beetlejuice: recensione del sequel di Tim Burton che ha aperto il Festival di Venezia

Le operazioni recupero al cinema sono sempre complesse. I restauri funzionano senza rischi se si tratta di conservare il già visto, ma se ci si azzarda nell'archeologia industriale, specie avventurandosi sui terreni scivolosi degli anni '80, ormai usurati dalla beatificazione e dal mito. Ci sono voluti trentasei anni a Tim Burton per riaffacciarsi nell’universo fortunato di Beetlejuice, lo spiritello maligno e cattivello, capace di un fortunato equilibrio fra spaventi, risate e frecciatine sociali contro i retrogradi. Un film che lanciò definitivamente la carriera del trentenne californiano, ma anche di Michael Keaton e della regina degli anni ’90, Winona Ryder. Tornano entrambi, insieme a Catherine O’Hara e qualche fisiologico nuovo innesto, come Monica Bellucci, Willem Dafoe, Justin Theroux.

E qui sorge una prima questione, quella dell’affollamento di Beetlejuice Beetlejuice, tale che spesso li si vede schierati tutti a semicerchio, quasi come fosse un incontro motivazionale o un ritrovo di qualche setta, ognuno con il diritto a qualche battuta e un contributo doveroso al nuovo capitolo. Ci si disperde, quindi, in rivoli che fanno perdere portata al filone principale, privandolo di vivacità e scariche di energie, che arrivano in dosi piuttosto contenute. Anche i dialoghi e la narrazione rappresentano più spesso un tour de force fra macchina da presa e attori, parcellizzando battute e narrazione in particelle troppo piccole per essere apprezzate in pieno. Inevitabile rimanere con curiosità inesplorate su molti dei personaggi.

Il punto di partenza è il ritorno a casa della famiglia Deetz, dopo la morte di Charles, in quella Winter River diventata abituale agli appassionati del film originale. La quiete è ulteriormente sconvolta quando, come da ovvio copione, un qualche accidente porterà alla riapertura del portale per il mondo dei morti, liberando un assopito Beetlejuice. Sono le nuove generazioni a interessarsi e pretendere la propria dose di esperienze e spaventi, rappresentate da Astrid (un talento in crescita come Jenna “Mercoledì” Ortega), figlia adolescente dell’amata Lydia, ovvero Winona Ryder. La quale è da tempo impegnata in un programma horror, sempre a colloquio con i morti, e molto meno con i vivi, familiari in prima posizione. A questo proposito verrebbe da augurarsi una moratoria sui sequel horror (o presunti tali) che iniziano con una versione per il cinema o un programma televisivo che rievoca i fatti avvenuti anni prima, nella vicenda originaria.

Non mancano momenti di divertimento, decisamente prevalenti rispetto a quelli più tradizionalmente gotici o horror, mentre sembra di trovarsi un po’ in un ritrovo, un parco giochi a tema Beetlejuice, in cui anche noi spettatori partecipiamo con qualche slancio, riconoscendo personaggi, immaginari evocativi di precedenti ricordi positivi, ma ci rendiamo conto che rimane uno spettacolo archeologico, non riuscendo a prendere una strada propria capace di imboccare con decisione una direzione autonoma e pienamente soddisfacente.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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