Arthur e la guerra dei due Mondi - la nostra recensione
Con più di un anno di ritardo, arriva anche in Italia l'ultimo episodio della stiracchiata trilogia di Arthur e del minuscolo mondo dei Minimei.
Si respira l'aria dell'ufficio marketing di Luc Besson durante la visione di Arthur e la guerra dei due mondi. Che il magnate del cinema francese avesse da tempo virato i suoi interessi verso il lato commerciale del cinema si sapeva, privilegiando storie mediocri da lui stesso scritte e dirette dai suoi scudieri registi, in funzione di film action, comedy o entrambi di pronto consumo per il pubblico. Comprensibile in parte. Una grande azienda come l'Europa Corp. da lui fondata deve garantirsi ricavi sicuri. Non giustificabile però se i film prodotti tradiscono superficialità. Appare infatti stiracchiata trilogia di Arthur, la cui intera storia arriva a stento al terzo capitolo.
Partita in pompa magna nel 2006, la saga si avvaleva nella versione inglese delle voci di Madonna per la Principessa Selenia e di David Bowie per il perfido Maltazard. La prima è stata sostituita dalla star di Disney Channel Selena Gomez, 34 anni in meno, mentre al posto di Bowie ci si è “accontentati” di Lou Reed. Forse il crack dell'economia mondiale ha costretto la produzione ad abbassare il budget, o forse Besson ha trascurato gli ultimi due terzi della trilogia pensando alle successive regie, Adele e l'enigma del faraone e The Lady.
Oltre a quello dei Minimei, l'altro mondo del titolo è il nostro, o meglio, l'America degli anni 60 candita di colori e ingenuità dove vive il personaggio interpretato dal giovane e bravo Freddie Highmore. È qui tra gli umani che Maltazard piombava alla fine del secondo episodio insieme all'invito ad attendere il terzo per il prosieguo. Da due millimetri ai ragguardevoli due metri d'altezza, il perfido semina il panico con il suo esercito di guerrieri mettendo a ferro e fuoco la ridente Daisy Town. Rispetto ai precedenti, Arthur 3 punta maggiormente ad un pubblico di giovanissimi, dai 12 anni in giù. Ci sono tutti i valori che i giovani spettatori devono ancora imparare: il coraggio, la redenzione, l'amicizia e ovviamente l'amore. La strizzatina d'occhio agli adulti si riduce ad una scena ironica in cui il regista scherza su un George Lucas ventenne e sull'origine di Star Wars.
Ottimo lavoro sul mix computer e live action nelle numerose scene d'azione, a riprova del fatto che la Digital Factory di Besson non è seconda a nessuno in Europa in questo settore. Il problema per il regista francese si chiama Pixar che in quanto ad animazione digitale ha raggiunto uno standard inarrivabile, non per come produce ma per come usa il prodotto. Mentre il mantra che John Lasseter ripete da anni ai suoi dipendenti è “la storia è tutto, qualunque sia il mezzo per raccontarla”, Luc Besson fa di una storia il pretesto per usare il mezzo. Non che il risultato finale non sia godibile, ma la sostanza è altrove.
- Giornalista cinematografico
- Copywriter e autore di format TV/Web