Arianna - la recensione del film italiano premiato alle Giornate degli Autori veneziane
Un toccante ritratto di giovane donna alle prese con la sua identità sessuale.
Arianna è una ragazza di famiglia borghese, figlia di un medico e amatissima dai genitori. Anche se ha quasi 20 anni ed è in cura da un ginecologo, non ha ancora avuto il suo primo ciclo mestruale e non comprende perché il seno le faccia male ma non si decida a crescere. Quando d'estate torna coi suoi nella casa sul lago in cui andava da bambina, inizia ad esplorare la sua sessualità e a cercare di scoprire la propria vera natura.
Quando si parla di generi e identità sessuale, oggi, c’è una grande confusione sotto il cielo, spesso alimentata da pregiudizi religiosi o ideologici che preferiscono ignorare la realtà delle cose e la sofferenza di chi non si riconosce nel corpo con cui è nato. L’opera prima di Carlo Lavagna parte da una dichiarata esigenza personale di esplorare il tema, per capire perché, a volte, sia difficile se non impossibile potersi sentire interamente uomo o interamente donna. Per farlo l'autore sceglie un caso estremo e relativamente raro (si parla - per l'Italia - di un bambino su 5000, 60 l’anno e 5000 in vita): l’ermafroditismo o pseudoermafroditismo, quando in un corpo coesistono entrambi gli organi sessuali (magari con la presenza di un utero "vuoto" e dunque sterile), e - come nel famoso caso della campionessa mondiale 2009 degli 800 metri Caster Semenya - l'aspetto è più maschile che femminile.
Quando nasce un bambino così, spetta ai genitori scegliere cosa togliere e dunque dare un’identità in apparenza univoca al figlio. E’ questo che viene raccontato nella storia della tarda adolescenza di Arianna, una bella ragazza un po’ mascolina che ha sempre prese per buone le parole dei genitori e che attribuisce ai problemi ormonali per cui è in cura da anni le differenze tra il suo corpo e quello, ad esempio, della cugina, che ritrova nella casa sul lago della sua infanzia e con la quale si confronta.
Quello che le è successo non è una rivelazione scioccante per lo spettatore, che lo capisce fin dall’inizio, ma lo è per la protagonista, che dopo la scoperta di essere stata prima maschio e poi femmina, rinasce a vent’anni per la terza volta e sa finalmente con cosa deve fare i conti. Non è un'opera indimenticabile, Arianna, ma è un film delicato, poetico e soprattutto recitato con grande intensità e naturalezza dalla giovane Ondina Quadri (figlia del noto montatore Jacopo Quadri), di una bellezza androgina che ricorda a tratti il giovane Tadzio del viscontiano Morte a Venezia e che la rende credibile sia nei panni del ragazzo che della donna, perfetta creatura di mezzo. E’ sulle sue spalle che si appoggia quasi tutto il film e per la sua performance è stata giustamente premiata a Venezia col premio Fedeora e Laguna Sud, dove il film – migliore scoperta italiana - ha aperto le Giornate degli Autori.
Danno forza visiva al film i variegati e splendidi paesaggi attorno al Lago di Bolsena, con i boschi, le cave, l'acqua e gli elementi naturali e atmosferici che rimandano all’origine mitologica del personaggio Ermafrodito, e sono ben scelti gli attori di supporto (è sempre un piacere vedere sullo schermo Massimo Popolizio, ottimo interprete teatrale e doppiatore, qua in coppia con Valentina Carnelutti). Forse eccessivamente didascalico a tratti – ingenuità perdonabile in un’opera prima – Arianna è comunque un film che colpisce e induce a una riflessione meno superficiale di quelle odierne su cosa sia a fare di noi quello che siamo e su come sia sempre meglio sospendere il giudizio quando si tratta della vita e della felicità altrui.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità