Ari: la recensione del film di Léonor Serraille in concorso al Festival di Berlino 2025
Un giovane insegnante sviene durante una lezione, finendo cacciato di casa dal padre contrariato. Ari è il suo nome e si aggira nella città e fra i suoi amici in cerca di ricordi e di una nuova scintilla emotiva. La recensione di Mauro Donzelli del film di Léonor Serraille presentato alla Berlinale.
Vincere un concorso per insegnare alle elementari, a 26 anni e dopo anni di tentativi falliti. Ari però crolla sul più bello, quando ancora in prova non sopporta la pressione di una lezione supervisionata dalla direttrice. Ecco che arriva l’ospedale, il vuoto che sospende la sua vita e il recupero tentato. Il pilastro di questa inconsueta parabola contemporanea che sembra uscita da un quadro bucolico, non negandosi bruschi risvegli, è un giovane attore emergente francese, Andranic Manet.
Dopo il racconto di una Jeune Femme, una giovane donna che aveva un crollo, cacciata di casa dal ricco fidanzato in un quartiere di Parigi, nella sua opera prima vincitrice della Caméra d’or, da noi uscita come Montparnasse - femminile singolare, Léonor Serraille mette al centro del suo terzo film il crollo di un giovane uomo nella provincia nord della Francia, a Lille. Dalla giungla parigina in cerca di un divano in cui dormire, al recupero della propria vita attraverso chi ne ha fatto parte. Il nome, Ari, rimanda all’atto d’amore di una madre, morta prematuramente, che gli ha donato il nome del figlio di un pittore, che nel salutarne la nascita cominciò a dipingere solo a colori vivaci, dopo una carriera abituato a tratti cupi. Una scomparsa, quella della madre, che rappresenta senz’altro uno dei motivi per spiegare la crisi ancora non sanata di Ari.
Un film che a suo modo racconta una morte, apparente e per fortuna momentanea, sul fronte del lavoro con i bambini e di uno spaesamento insistito e lungo anni, seguita da una resurrezione in cui piano piano impara a riconnettersi con sé stesso attraverso gli incontri che fa con le persone che ha amato quando era ragazzino, con gli amici e con il padre. Si rimette in moto l’atrofizzata energia esistenziale di un animo fragile ma estremamente curioso, anche al di là dei confini con cui la nostra società “accetta” questo tipo di pulsione. Non si sente mai pronto per affrontare gli esami della vita, quelli letterali e quelli rituali, come la paternità. Garbato e un po’ alieno, rivendica l’idea di conoscersi, di vedere qualcuno per la prima volta e potersi dedicare del tempo, delle domande e anche qualche gesto affettuoso per questo scopo, al di là di secondi fini. Come un contatto fisico infantile, in mezzo a risate di pancia genuine.
Ari segue con evidente affetto un sonnambulo Candide che si aggira in cerca di un equilibrio, iniziando a ritrovarlo quando si rende conto che non è proprio vero, come ha sempre pensato, che tutti si godono vite stabili e felici, anzi non hanno neanche il suo genuino candore che lo porta a cercare il dialogo con gli altri. Come seguendo una mappa personale fatta dei ricordi della sua infanzia e adolescenza, ritornano a comporsi le immagini dei mesi successivi al suo crollo e una rinnovata consapevolezza di sé, definiamola pure accettazione faticosa, in primis di limiti e fragilità, per potersi creare un nuovo percorso, questa volta da vivere in diretta, con energia e coraggio. Diventando adulto, insomma, senza possibilmente perdere la sua eccentricità naturale.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito